Una rete tra associazioni, genitori, docenti ed educatori. È questo il primo risultato concreto della due giorni su affettività, sessualità e bellezza che si chiuderà oggi all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, dal titolo ‘Sapere per educare’. La proposta arriva dal
Comitato Articolo 26 e da ‘
“Non si tocca la famiglia”, a cui l’Age, l’Associazione genitori, ha dato il patrocinio insieme con altre associazioni, tra cui Agesc, Forum delle associazioni familiari, Scienza&Vita, Pro Vita.
L’obiettivo è dedicare una particolare attenzione alle esigenze formative dei genitori, informandoli per formarli e formare su materie delicate, dalle teorie del gender alla scoperta di buoni progetti educativi per la scuola e la famiglia. «L’ampia partecipazione alla due giorni racconta il disagio di genitori, docenti ed educatori di fronte a quello che è un attacco all’umano – ha sottolineato la ginecologa Lodovica Carli, direttore del progetto educativo .
‘La luna nel pozzo’, che ha coordinato i lavori della mattina –.
Recuperiamo la cittadinanza attiva, il ruolo attivo della famiglia, la generatività che non riguarda solo il proprio ambito familiare ma tutta la società.
In gioco c’è il bene della società in un’ottica di alleanza con le istituzioni, le associazioni, la scuola, i mass media, i singoli cittadini».
La proposta è dunque quella di fare rete tra associazioni, genitori, insegnanti ed educatori su questi temi. In che modo? Creando «un luogo per incontrarci, confrontarci, condividere esperienze, storie, problemi, buone prassi», come quello offerto dal Forum delle associazioni familiari con ‘Il filo e la rete’, una newsletter con questi scopi, a cui ciascuno più iscriversi.
«La teoria di genere è una costruzione artificiale, senza nessuna base scientifica o biologica, che ridurrebbe l’uomo ad una sorta di essere vivente asessuato, in grado di scegliere a quale ‘genere’ appartenere». Dati scientifici alla mano, il neurochirurgo Massimo Gandolfini, vicepresidente nazionale di Scienza & Vita, ha aperto il seminario spiegando che «l’appartenenza sessuata di ciascun essere umano è un dato biologico indiscutibile, le cui fondamenta stanno nel nostro patrimonio genetico». Citando Orwell, Gandolfini ha affermato che «dire la verità è un atto di coraggio. E noi dobbiamo avere questo coraggio», anche perché «lo scopo dell’ideologia del gender è la destrutturazione dell’uomo» che si ottiene sul piano delle istituzioni politiche con la distruzione della famiglia.
«Cancellare la differenza dei profili maschili e femminili significa certo rimuovere possibili cause di discriminazione ma soprattutto vuol dire negare il profilo strutturalmente relazionale dell’essere umano – ha sottolineato Giuseppe Mari, ordinario di pedagogia generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano –.
Per esserci relazione, ci dev’essere alterità. Per questo è necessario restituire diversità mentre c’è chi per essere politically correct insiste sull’indifferenza tra maschi e femmine. Il significato naturale, cioè originario, dell’essere maschio o femmina porta come conseguenza la differenza fatta per l’incontro.
Uomo e donna sono diversi come identità ma sono identici come dignità» ha proseguito Mari, per il quale «la scuola, confrontandosi con la sfida dell’educazione all’affettività, è chiamata a proporre contenuti di insegnamento su cui c’è ampia convergenza della comunità che la riconosce come istituzione», mantenendo però un ruolo sussidiario verso «i genitori, titolari del diritto/dovere dell’educazione dei figli. Riguardo all’affettività – ha concluso Mari – la scuola non ha titolo per sostituire i genitori».
LOCANDINA