Perché i coreani si convertono a Cristo e i giapponesi no
— 11 Luglio 2014 — pubblicato da Redazione. —Giappone e Corea hanno una storia e una cultura molto diverse, per cui la missione cristiana ha prodotto risultati diversissimi.
I giapponesi si convertono poco per un motivo religioso-culturale.
Le religioni del Giappone insegnano che l’uomo è uno dei tanti elementi della natura, nella quale si manifesta il Dio.
Il giapponese è figlio di queste religioni (shintoismo, confucianesimo e buddhismo): ottimo lavoratore, sobrio, obbediente alle direttive. La gente ha una forte coscienza unitaria di popolo, ma una scarsa coscienza dei diritti della persona. La vita comune comincia nella famiglia, continua nella scuola e finisce nell’azienda, concepita come una grande famiglia.
“L’influsso delle religioni tradizionali – mi diceva padre Alberto Di Bello, missionario in Giappone dal 1972 – ha educato a una viva coscienza dei propri doveri, più che dei propri diritti. Il cristianesimo, entrando in Giappone attraverso le moderne missioni cristiane e l’influsso dell’Occidente, ha portato in questo paese il concetto fondamentale del mondo moderno, quello della carta dei diritti dell’uomo: il valore assoluto della singola persona umana. La società, lo Stato, la patria sono a servizio della persona umana, non la persona a servizio della società, dello Stato, della patria”.
Padre Giampiero Bruni, in Giappone dal 1973, mi dice: “Se un individuo è consapevole e libero, può fare la sua scelta di convertirsi a Gesù. Ma se non è libero perché è membro di un gruppo, non può. Il giapponese è abituato a obbedire e a fare come fanno tutti. Il gruppo domina, uscire dal gruppo non si può, significa tagliare tutti i rapporti, E io credo che anche oggi le conversioni che avvengono dobbiamo esaminarle bene, per vedere se sono libere o condizionate da qualcosa che non riusciamo a capire”.
Questo è il concetto di fondo che hanno espresso i missionari che ho interpellato, nei miei viaggi in Giappone.
Radicalmente diversa è la Corea del Sud. Nell’ultimo mezzo secolo ha registrato una crescita record dei cristiani. La Chiesa coreana è al femminile, a partire dal nome: il cattolicesimo è chiamato “la religione della Mamma”, perché davanti a non poche chiese c’è una statua di Maria con le braccia aperte che invita i passanti ad entrare; e poi perché nel 2011 i fedeli maschi erano 2.193.464, il 41,5 per cento del totale, e le femmine 3.095.332, ovvero il 58,5 per cento.
C’è anche un motivo storico che spiega le conversioni. La Corea ha conosciuto mezzo secolo di occupazione giapponese e poi più di tre anni di guerra civile fra Nord e Sud (1950-1953), combattimenti feroci casa per casa, distruzione di molte abitazioni e strutture statali. Padre Giovanni Trisolini, uno dei primi salesiani entrati in Corea nel 1959, mi diceva nel 1986: “Quando arrivai in Corea c’era una miseria spaventosa. Il paese era ancora distrutto dalla guerra, con gli eserciti che erano passati e ripassati su tutto il territorio. Il lavoro principale di noi missionari era di dare da mangiare alla gente, che letteralmente moriva di fame. Con poche strade e ferrovie, non funzionava quasi nulla delle strutture statali. In quel frangente i governi della Corea del Sud, col paese occupato dagli americani, hanno messo al primo posto l’istruzione del popolo, fondando ovunque scuole con un sistema educativo moderno, per far uscire le nuove generazioni dall’insegnamento tradizionale, che trasmetteva una visione dell’uomo di natura confuciana, ereditata dalla Cina e poco adatta a formare giovani in un paese moderno”.
La scuola è stata estesa a tutti, quindi anche alle bambine, con un insegnamento di materie totalmente diverse da quelle dello schema confuciano. Questo cambiamento radicale dell’istruzione, in poco tempo ha fatto decollare lo sviluppo economico e ha contribuito a preparare la strada alla democrazia, ai diritti di uomo e donna e al cristianesimo. Oggi la Corea del Sud non ha più analfabeti, la scuola è obbligatoria e gratuita per tutti, dal giardino d’infanzia fino alle scuole superiori umanistiche o tecniche, che quasi tutti frequentano. Nel 1960 la Corea del Sud era uno dei paesi più sottosviluppati dell’Asia, negli anni Ottanta è stata una delle “tigri asiatiche” con Taiwan, Singapore e Thailandia.
In Corea il cristianesimo esercita un forte potere di attrazione, rispetto al confucianesimo e al buddhismo, per almeno cinque motivi:
1) Introduce l’idea di uguaglianza di tutti gli esseri umani creati dallo stesso Dio, Padre di tutti gli uomini, e soprattutto il principio dell’uguaglianza nei diritti fra uomo e donna, pur nella diversità e complementarietà fra le persone dei due sessi. Nel confucianesimo la donna non ha la stessa dignità e gli stessi diritti dell’uomo. Nella società confuciana la donna era quasi schiava del marito, le bambine non andavano a scuola e la donna era inferiore all’uomo. “È un uomo mal riuscito” diceva di lei Confucio.
2) Cattolici e protestanti si sono distinti per la partecipazione attiva al movimento popolare contro la lunga dittatura militare tra il 1961 e il 1987. Confucianesimo e buddhismo promuovevano invece l’obbedienza all’autorità costituita. Se in Corea, come nelle Filippine, le dittature militari hanno ceduto il potere a governi elettivi non con rivoluzioni violente ma con le “rivoluzioni dei fiori”, è stato principalmente per le pressioni dell’opinione pubblica coscientizzata dalle Chiese cristiane.
3) Il cristianesimo è la religione del Libro e di un Dio personale, mentre sciamanesimo, buddhismo e confucianesimo non sono nemmeno religioni, ma sistemi di saggezza umana e di vita. Soprattutto non hanno un’organizzazione e direzione a livello nazionale, che rappresenti i loro fedeli. Ci sono tentativi di coordinamento fra le varie pagode e monasteri buddisti, ma ciascuno va per conto suo.
4) Cattolici e protestanti hanno costruito e mantengono una grande quantità di scuole a tutti i livelli, fino a numerose università – quelle cattoliche sono ben dodici – che si sono imposte nel paese come le migliori dal punto di vista educativo e dei valori a cui formano i giovani. Tutte le famiglie vorrebbero mandare i loro figli nelle scuole cristiane, perché l’educazione dei giovani ispirata al Vangelo si dimostra la più efficace nel formare persone adulte e mature.
5) Infine, la Corea del Sud è ormai un paese evoluto e anche ricco (si dice che “è in ritardo sul Giappone di soli vent’anni”), nel quale le antiche religioni non danno risposte ai problemi della vita moderna. E questo è inevitabile, perché il mondo moderno è nato in Occidente, dalla radice biblico-evangelica, cioè dalla rivelazione di Dio in Cristo. Il cristianesimo, e soprattutto il cattolicesimo, si presenta come religione più adeguata al nostro tempo e più attiva nell’aiuto dei poveri.
L’abbondanza delle conversioni conferma quanto durante il mio ultimo viaggio in Corea mi diceva padre Vincent Ri, prefetto degli studi della facoltà teologica del seminario maggiore di Kwangju: “Il coreano è fiero di definirsi religioso: anche fra gli studenti, gli intellettuali, le persone colte, non esiste lo spirito anti-religioso o ateo comune in Europa. Il fatto religioso è al centro della vita del nostro popolo e questa è un’antica tradizione che lo sviluppo economico e tecnico non ha abolito, anzi contribuisce a rafforzare”.
Per molti anni, però, almeno fino alla visita di papa Karol Wojtyla nel 1984, pochi hanno prestato attenzione a questo “miracolo” della Chiesa coreana.
“La nostra Chiesa è stata scoperta solo con la visita trionfale di Giovanni Paolo II nel maggio 1984. Allora, in Occidente molti si sono meravigliati che qui ci sono tante conversioni e vocazioni. Eppure questo fenomeno dura dagli anni Settanta e dopo la visita dal papa ha assunto dimensioni eccezionali. La sua visita è servita più di tutte le nostre prediche ad annunziare Cristo ai non cristiani e a fortificare la fede nei nostri battezzati”.
Ben diversa la situazione in Corea del Nord
Fonte e approfondimenti in: Vacche magre in Giappone, vacche grasse in Corea del Sud – chiesa.espresso.repubblica.it