Padre Pizzaballa: «Senza ebrei e musulmani, non posso essere cristiano»
— 23 Giugno 2015 — pubblicato da Redazione. —Identità e religione. Cosa sarà del Medioriente? Dove guardare? Venerdì 19 giugno padre Pizzaballa, custode di Terra Santa, ha parlato alle 700 persone che occupavano l’Aula Magna dell’Università Bicocca. Tema dell’incontro: “I monoteismi alla prova”
Venerdì 19 giugno, Aula Magna dell’Università Bicocca; alle 13 dovrà parlare padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa sul tema “I monoteismi alla prova”. L’incontro è organizzato dal Centro Pastorale Carlo Maria Martini, di cui don Marco Cianci è il cappellano e Federico Gilardi il responsabile. Alle ore 12.30 l’enorme aula è ancora vuota; si vedono entrare figure nerovestite, che, con aria dubbiosa, guardano i posti vuoti e sembra che si domandino se di lì a poco verranno riempiti. Su qualche volto si legge qualcosa di più: il timore di aver scelto un’aula troppo grande, di aver fatto, come si suol dire, il passo più lungo della gamba. Ore 12.50, si vede un gruppo di studenti entrare e prendere posto. Poco dopo, ha inizio una fila di persone (giovani e non) che, cosa sorprendente, sembra non finire mai. Alle 13 l’aula è piena. Qualcuno si è preso la briga di contare le presenze: 713. In piena sessione di esami docenti, studenti, e tante altre persone estranee all’ateneo, si sono prese il tempo per ascoltare padre Pizzaballa.
Al tavolo, oltre al Custode, don Marco Cianci, Cristina Messa, rettore dell’Università, Giorgio Vittadini, docente di Statistica, monsignor Pierantonio Tremolada, vescovo ausiliario di Milano e Elena Bolognesi, della rivista Terra Santa. Dopo il saluto del Vescovo e la presentazione di Pizzaballa, fatta da Vittadini, la parola va al rettore. Normalmente, dice, in università gli studenti, e anche i docenti, pensano agli esami, a laurearsi il prima possibile. Tuttavia lo studio è proficuo quando viene fatto per capire il mondo e la realtà; meriterebbe per un’affermazione simile, una laurea honoris causa, ammesso che ne abbia bisogno.
Padre Pizzaballa comincia col dire che il tema è semplice e complesso al contempo. In Medioriente l’elemento religioso coincide con l’elemento identitario, e in un duplice senso: le identità sono definite dalle appartenenze religiose e l’elemento religioso non può essere scisso da quello civile. Porta due esempi: la Siria e la Terra Santa. La Siria, fino a 5-6 anni fa, era il simbolo delle convivenze inter-etniche e inetr-religiose; si trattava di una convivenza naturale, non sempre pacifica, ma che aveva tenuto per decine di anni. Ora tutto ciò è saltato, a causa della guerra o, per meglio dire, delle guerre. Una guerra contro la minoranza sciita, una guerra contro Assad, una guerra in cui hanno un ruolo ambiguo altri Paesi: la Turchia, per esempio, che lascia 900 chilometri di confine aperti all’entrata di armi e di guerriglieri. Dopo secoli in cui le diverse esperienze religiose hanno convissuto e sono cresciute, si vuole il ritorno al califfato e al principio, di memoria europea, del cuius regio, eius religio.
Diversa è la situazione in Terra Santa; anzitutto perché non è in corso una guerra, come in Siria. Ma anche, qui, le istituzioni civili e religiose sono paralizzate e i loro interventi non mostrano alcuna efficacia. Ciascuno, in questo momento, cerca di difendersi dall’altro. E l’altro non è solo il palestinese rispetto all’ebreo, o viceversa. Il presidente dello stato di Israele, Reuven Rivlin, ha detto recentemente che ci sono quattro tribù ebree, divise tra loro: i secolari, i religiosi nazionalisti, i religiosi non nazionalisti, gli ebrei-arabi. Tra i diversi gruppi non ci sono “confini aperti”, ma veri e propri muri.
In questo guazzabuglio, cosa e dove guardare? A tale domanda, non sembra esserci risposta. Ma, sorprendentemente, padre Pizzaballa dice che, mentre le istituzioni sono paralizzate, nelle “realtà spicciole” si vede qualcosa diverso: a Qaraqosh in Iraq, i cristiani di rito siriaco e caldeo sono dovuti scappare. Le loro case sono state saccheggiate da musulmani dei villaggi vicini, che conoscevano da sempre. D’altra parte, questi cristiani in fuga sono stati accolti da altri musulmani. Così come ad Aleppo, continuamente bombardata, cristiani e musulmani si danno una mano.
Cosa sarà del Medioriente? Molti si augurano territori puliti, fatti di soli sciiti o di soli sunniti, come di soli ebrei o cristiani. Ma, fa notare Pizzaballa, non ci sarà mai un territorio pulito, ma terre contaminate da diverse esperienze. E questo è, se così si può dire, il sigillo del territorio mediorientale. Il dialogo inter-religioso, prima di essere una necessità è dunque una vocazione: «Senza l’ebreo e il musulmano, non posso essere cristiano», osserva Pizzaballa, citando un’esperienza personale. Dopo gli studi teologici in seminario, si trova a essere studente nell’università ebraica: qui, gli studenti “coi riccioli” gli pongono domande alle quali si trova incapace di rispondere. Le domande poste dagli studenti ebrei non concernono tanto le questioni teologiche o esegetiche, ma sono di diversa natura: «Chi è per te Gesù Cristo?», «Come ti parla?». Pizzaballa si trova di fronte a persone che vogliono sapere la sua «esperienza» su Gesù; così è costretto prendere in considerazione la sua fede in modo nuovo, scoprendone la pertinenza con la vita. Da questa esperienza Pizzaballa comprende che l’altro non è una minaccia ai confini, ma la possibilità necessaria e vitale per provocare l’io a un’autocoscienza più profonda. Questa è la strada per ripartire in Medioriente. Del resto, conclude Pizzaballa, «per me cristiano, l’altro è il volto di Cristo. E come sono amato io, è amato anche lui».
Al termine dell’incontro, dai vari capannelli di studenti e di adulti, si avverte l’entusiasmo per ciò che hanno appena ascoltato e un suggerimento per le realtà del cosiddetto Occidente che, come il Medioriente, cominciano a essere interessate dai migranti: quelli che migrano dall’inferno africano o quelli che migrano dalla condizione umana data per natura (gender, L.g.b.t). L’altro, ha detto Pizzaballa, mi sprona a «non cedere alla paura», a non mettere steccati, ma a imparare a «relazionarmi in maniera nuova»: l’altro, chiunque esso sia, è una risorsa per la coscienza di sé.
Fonte: Tracce.it