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«Andiamo a Medjugorje per essere abbracciati»

Siamo saliti sul pullman dei fedeli diretti al villaggio bosniaco per il festival dei giovani che comincia il 1° agosto e richiama ragazzi da tutta Europa. Le attese, le speranze, le preghiere. C’è chi laggiù si è convertito, chi ha ritrovato una fede più forte, chi brama di ritrovarla e, con essa, il senso della vita. La certezza? «Da laggiù», dice Cinzia, «non si torna mai come si è partiti».

In viaggio da Milano a Medjugorje. L’appuntamento è alla stazione degli autobus di Lampugnano. Ci sono i turisti che s’affrettano a salire per andare a Riccione, altri sono diretti in montagna. Il nostro pullman arriva puntuale alle 7.15. Destinazione: Medjugorje. C’è il festival dei giovani, una mini Gmg, dice chi c’è già stato, che ogni anno ai primi di agosto nell’ex paesino sperduto dell’Erzegovina richiama circa sessantamila giovani da ogni parte d’Europa e non solo. Molti i giovani e i ragazzi anche a bordo dei nostri pullman organizzati dall’associazione “Amici di Medjugorje” di Varese. “Non chiediamo segni, il sole che gira, il senso del pellegrinaggio è altro”, tuona frate Attilio, giovane cappuccino che è la guida spirituale del gruppo. Difficile, nell’immaginario collettivo e pure, diciamolo, nella curiosità del cronista, separare il fenomeno Medjugorje dai “segni”, gravidi di avvertimenti, esortazioni e inviti a pregare da parte della Vergine che apparve e continua ad apparire ad un gruppo di veggenti.

Ma i pellegrini? Perché si mettono in viaggio? Quali le aspirazioni, gli aneliti, i drammi? E perché cercarli in un villaggio dei Balcani martoriati che solo dal 1981 al 1990 ha richiamato venti milioni di persone e San Giovanni Paolo II, parlando confidenzialmente con un vescovo, definì “il centro spirituale del mondo”? Ecco il dilemma Medjugorje su cui da oltre trent’anni duellano senza requie credenti e increduli, scettici e devoti, scienziati e uomini di fede. Ma, forse, lasciando sempre i pellegrini sullo sfondo. Cinzia è la quinta volta che ci va ma quella decisiva è stata la prima nel 2011: “Quando sono salita sul Podbrdo, il monte della apparizioni, è come se fossi stata abbracciata. Ho capito in un istante che il Signore vuole bene anche a me, che anche l’ultimo peccatore si può salvare, è prezioso ai suoi occhi”.

Lo dice piano, Cinzia, 47 anni, il lavoro che manca da gennaio, a casa genitori anziani da accudire. Una vita in bilico su cui, chiosa, “sto facendo discernimento”. Ogni tanto si commuove ma di una cosa è certa: “Da Medjugorje non si torna mai come si è andati”. Lei arrivò qui tre anni fa per accompagnare un’amica al festival dai giovani. Indifferente, più che scettica. Da allora torna spesso. Michela, 34 anni, impiegata in un’azienda di spedizioni, era a un passo dal convertirsi al Buddismo quando decise di andare a Medjugorje. “Non per fede”, racconta, “ma per smascherare il grande imbroglio che lì, credevo, si propagasse. Ma quale Madonna, pensavo che laggiù ci fosse il diavolo”. Nientemeno. “Vedevo i miei genitori che tornavano dai pellegrinaggi e pensavo fossero preda di allucinazioni, recitavano il Rosario in casa, organizzavano gruppi di preghiera”.

La vita di Michela era calibrata sui weekend: “Andavo ogni sabato a ballare e pensavo ad organizzare quello successivo”, ricorda. Medjugorje è una scossa. “Attraverso i sacerdoti e le persone che ho incontrato lì i dubbi sulla fede si sono dissipati”, dice, “è come se avessi compreso, lì solo, che il Signore guida la mia vita”. Un cambiamento concreto? “Una volta tornata a casa, sentii il bisogno di pregare il Rosario e andare a Messa. Oggi, se riesco con il lavoro, vado tutti i giorni. Ho imparato che il senso della vita è aiutare i fratelli”. E se, mettiamo, Medjugorje fosse un’impostura? “Nessun problema”, replica, “Medjugorje serve a riacquistare la fede e incontrarsi con il Signore, fa vedere tutto in una nuova luce. Ha già fatto del bene”.

Per Daniela, 39 anni, master alla Bocconi e un lavoro come dirigente delle risorse umane in un’azienda di Milano, è la prima volta. Sognava il matrimonio. Tre mesi fa la morte del ragazzo che, dice, “mi ha costretto a fermarmi e chiedermi perché proprio a me. Sono già stata a Lourdes, da Medjugorje mi aspetto una nuova luce”. Davide, 32 anni, da Varese, ha sentito “di dover venire qui. Può sembrare una banalità ma è come se la Madonna mi avesse chiamato”. Roberto, una “sentinella del mattino” che nelle notti della movida milanese, tra i Navigli e le Colonne di San Lorenzo, invita i giovani a entrare a Sant’Eustorgio, sta andando a Medjugforje per l’ottava volta. “Per me è una ricarica spirituale, una conferma nella fede, la possibilità di viverla in amicizia e compagnia con altre persone”, dice.

C’è una costante nel variegato popolo di pellegrini che si mette in marcia verso il piccolo villaggio bosniaco: la fede. Da riconquistare, bramata, riconquistata. Fra’ Attilio risponde alle domande dei pellegrini, spiega la differenza tra rivelazione pubblica (la Parola di Dio con l’Incarnazione, morte e risurrezione del Cristo) e rivelazioni private come le apparizioni mariane che, ricorda, “sono un aiuto per credere ma non il centro della fede”. E aggiunge: “Dio rivelandosi in privato a uomini semplici, da San Francesco d’Assisi ai pastorelli di Fatima, rischia perché uno può anche fuggire e non dare ascolto alla rivelazione”. I pellegrini, anche Maria Chiara e Stella, 14 e 13 anni, ascoltano attenti. La loro faccia? Sta, forse, in un verso di Rilke: “Così sempre distratto d’attesa, / come se tutto t’annunciasse un’amata”.

Fonte: FamigliaCristiana.it

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