Bagnasco: accogliere chi fugge da guerra
— 15 Settembre 2015 — pubblicato da Redazione. —C’è anche un’Europa che parla una lingua unica. Se quella delle istituzioni comunitarie e della politica balbetta o è divisa da mille polemiche, l’Europa dei vescovi e della Chiesa, sui grandi problemi che travagliano il Continente, è unita e compatta. Parola del cardinale Angelo Bagnasco, che in questi giorni – come presidente della Cei – sta partecipando all’assemblea plenaria del Ccee, il Consiglio delle conferenze episcopali europee, di cui è da diversi anni vice presidente. «Sull’immigrazione – afferma in una pausa dei lavori – la nostra posizione comune è quella del Papa. Accoglienza». E anche su famiglia, gender e temi etici «il sentire che emerge dagli episcopati europei – afferma il porporato – è unico». Perciò lo stop di Londra al suicidio assistito è stato accolto da tutti come «una bella notizia».
Eminenza, che cosa sta emergendo dai lavori assembleari rispetto all’emergenza profughi?
Emerge la linea che il Papa ci ha indicato e che si riassume nell’accoglienza di quanti fuggono dalle guerre e dalla povertà sperando di trovare un futuro. È un movimento che si ritiene inarrestabile, per lo meno nel breve-medio periodo, e dunque richiede risposte oculate e incisive non solo a livello dell’Europa, ma anche dell’Onu.
Dall’Assemblea verranno proposte concrete all’Ue e ai governi?
Non tocca a noi dare indicazioni alle autorità. Noi parliamo – e non da ora – alle nostre comunità. Ma faremo un appello alle autorità responsabili, affinché prendano in seria considerazione questa tragedia umanitaria. La Chiesa non si può e non si deve sostituire alle Istituzioni comunitarie e ai singoli governi, ma può esortare a procedere con generosità, non disgiunta da intelligenza e prudenza.
Come coniugare, dunque, la generosità con le altre istanze?
Se non si vuole far solo finta di rispondere ad una emergenza così radicale, vasta e complessa, è necessario intervenire a un duplice livello. L’oggi e il domani. L’oggi per accogliere chi arriva. Ma l’oggi non può diventare un «per sempre» perché non si può vivere di assistenza. Non è dignitoso. E allora ecco il livello del domani. Cioè l’integrazione secondo i desideri delle persone e le possibilità di chi ospita. Integrazione significa soprattutto casa e lavoro nel rispetto di tutti, ospitati e ospitanti. Perché dobbiamo essere chiari. Se in chi arriva non vi fosse questa disponibilità a rispettare i doveri e i diritti della cultura del Paese ospitante, mantenendo naturalmente la propria identità di fondo, l’integrazione rimarrebbe una parola astratta.
C’è un ruolo della Chiesa in questa operazione?
La Chiesa deve annunciare il Vangelo. Anche a chi arriva. Offrire a tutti la verità di Cristo non significa ledere la libertà di nessuno. Naturalmente dove c’è un humus culturale cristiano tutto diventa più facile. Ma l’importante è che lo si voglia e che nessuno parta con la presunziuone ideologica di imporre qualcosa agli altri. L’atteggiamento deve essere rispettoso e collaborativo.
Anche diversi temi etici erano all’odg di questa assemblea. A che punto è il dibattito?
Si è parlato di famiglia, anche in vista del prossimo Sinodo. Oggi questa istituzione fondamentale rischia di essere stravolta in nome di un concetto di autonomia individuale che tutti i vescovi presenti hanno considerato distorto. Una autonomia talmente esasperata e in contrasto con la verità delle cose, che conduce le persone e le società – e lo vediamo tutti i giorni – non a una felicità maggiore, ma a una solitudine più grande e a una fragilità sociale più evidente. Come pastori della Chiesa, e come cittadini europei, non possiamo non dire una parola chiara e convinta su tale aspetto.
Come giudica il Ccee il segnale in controtendenza che giunge da Londra in merito al suicidio assistito?
È un segnale molto positivo, che ferma una deriva terrificante e che speriamo sia di buon esempio agli altri Paesi europei, che sembrano invece rincorrere gli esempi peggiori. Un altro tema emerso durante i nostri lavori è quello della teoria del gender che si vuole far passare anche attraverso l’educazione nelle scuole. Lo vediamo nel nostro Paese e anche in altre nazioni. Questa è una violenza sui bambini perché già dalle materne si vuole imporre una visione delle cose per cui ognuno sceglie di essere sul piano dell’identità sessuale quello che ritiene e per quanto tempo ritiene. Questo significa gettare nella confusione più grande i nostri bambini, ragazzi e giovani in nome del principio “fai quello che ti pare”, che invece viene ammantato da un concetto di libertà individuale come un diritto.
Inoltre – è stato sottolineato – si tratta di un gravissimo attacco alla libertà educativa dei genitori, che hanno il diritto e il dovere di educare i loro figli secondo le proprie convinzioni. Non esiste autorità pubblica, che possa andare contro la volontà dei genitori. Dunque la teoria del genere non può essere imposta palesemente né contrabbandata in modo surrettizio come si sta facendo.