Il metodo caldamente incoraggiato da Francesco ha avuto il suo felice riscontro, vincendo le perplessità e i timori dell’inizio. La franchezza della parresia, nella cornice dell’ordinata alternanza dell’assemblea e dei gruppi di lavoro disposta dalla Segreteria del Sinodo, ha infine prodotto una convergenza conquistata e convinta dell’ekklesia.
L’evento di comunione ecclesiale che ne è scaturito – non precostruito, non pilotato, non di maniera, checché alcuni ne dicano – ha sorpreso anche i commentatori più smaliziati. E molti lo hanno lealmente riconosciuto. In ogni caso, coloro che cercavano (e forse speravano) altro, alla fine, non l’hanno trovato. Il tono del documento finale è apparso concreto e onesto, ma anche caldo e propositivo, in grado di restituire il clima del consenso più ampio.
Per quanto concerne il tema in oggetto, in ogni modo, la convinzione che emerge dal consenso dei Padri sinodali è chiara: senza la saldezza di questo “nodo d’oro” – ossia la famiglia credente, che genera alla vita e alla fede nel grembo della Chiesa – la Chiesa stessa non si fa. Negli interventi in Aula, come anche nell’ampio e appassionato confronto dei gruppi linguistici, l’intonazione di questo registro è progressivamente cresciuta.
La convinzione di dover dedicare molta più attenzione e affezione allo spirito di alleanza fra la Chiesa e la famiglia ha ispirato sempre più interventi. Quando un Pastore è compreso della responsabilità di custodire la verità della fede – di questo parliamo, naturalmente, non di altri interessi – in quello stesso momento è animato dal desiderio di custodire e di proteggere la fedeltà, spesso a caro prezzo, di tutti coloro che a quella verità hanno affidato la loro vita e ne sono testimoni.
Ma il buon Pastore sa benissimo che la sua sollecitudine per la verità di Dio deve lasciarsi giudicare e mettere alla prova dell’inaudita novità evangelica della grazia. Nel ministero del Vangelo deve infatti risplendere, con la luce più forte, l’amore di Dio in cerca di tutte le sue figlie e tutti i suoi figli dispersi. La verità di Gesù è capace di una cosa che la mediazione della legge, anche la più perfetta, non sa fare: è capace di intercessione.
Fra i Padri sinodali questa capacità di intercessione, che si espone fra Dio e l’uomo, in favore dell’uomo, è risuonata scopertamente e coraggiosamente. Il punto più alto e in certo modo rivoluzionario dell’evento sinodale va trovato proprio qui. La capacità di intercessione della Chiesa, in favore delle famiglie – e specialmente di quelle ferite – stabilisce un punto di non ritorno, con il quale ora la coscienza ecclesiale dovrà misurarsi seriamente.
La Chiesa non entra in campo soltanto quando sono confetti e fiori d’arancio. E non sparisce quando le cose vanno male. La Chiesa rimane in campo quando i giovani cercano la loro strada, magari per prove ed errori, per incoraggiarli a trovare la via, collaborando con affetto a sciogliere le paure e gli stordimenti che inceppano il cammino. La Chiesa rimane in campo quando le famiglie sono trafitte dall’imprevisto doloroso e drammatico che fa traballare tutto: l’impossibilità di avere bambini, la nascita di un figlio ferito, la mancanza di mezzi e la perdita del lavoro, le devastazioni della natura, della guerra, della persecuzione.
La Chiesa rimane in campo quando storie di vita difficili e distruttive impongono uno stato di separazione e di abbandono che per molti è quasi impossibile fronteggiare da soli. Il Sinodo offre al Papa la testimonianza collegiale di una Chiesa che ha riaperto se stessa alla vocazione bellissima e vulnerabile del sacramento della famiglia, ponendo le basi per pensarlo e viverlo davvero come un momento essenziale della sua costituzione divina.
L’appello è dunque a una Chiesa di menti lucide, cuori saldi e spiriti bambini, disposti a lasciarsi rivestire dei «sentimenti di Cristo» (Col 3, 12; Fil 2, 5). Fino a diventare capaci, quando lo Spirito di Dio è accolto, di autentici miracoli: come trasformare vite annacquate in un vino perfino migliore, o riaccendere una fede che sembrava ridotta a uno stoppino fumoso. (Cose così, insomma). È vero, è stato “solo” un Sinodo dei Vescovi, e non un Concilio ecumenico (in ogni caso cum Petro e sub Petro). Eppure, vi pare poco quello che ne è uscito?