Solo la bellezza salverà il mondo: dice Dostoevskij. Ma quale tipo di bellezza? Una virtù incarnata o un principio di indiscriminata e selvaggia esaltazione di sé?
Lo ammetto. Sono fortunata. Sono circondata, assediata dalla bellezza nella mia vita. Sono cresciuta all’ombra di un amore forte come una quercia, nella mia adolescenza ho incontrato guide sagge e sicure, lavoro con persone che condividono il mio stesso ideale a servizio della famiglia, i miei amici sono un faro splendente di gratuità. Li ho visti lasciare le loro case, allargare fino a lacerarla la tenda del cuore per accogliere bambini impauriti, storpi, con gravi deficienze affettive o cognitive. Li ho guardati negli occhi al mattino dopo notti passate insonni a cullare, rincuorare, incoraggiare bambini già troppo disincantati e donne impaurite senza più nessuna speranza, li ascolto raccontare di giornate passate a mangiare solo riso perché nei villaggi africani raggiungere la capitale per fare spesa costa troppo. Sono belli ma non lo sanno. Sono il mio quadro di Van Gogh, la mia poesia di Alda Merini più profonda. Per il mondo sono folli, fanatici, pazzi. Le loro scelte giudicate degli inutili atti di eroismo. Per me sono il segno che Dio non si è dimenticato dell’uomo perché si serve delle loro mani, dei loro piedi, della loro voce, dei loro silenzi per mostrare al mondo la vera bellezza.
Quest’estate ascoltavo Roberta, una mia cara amica che vive in una casa di accoglienza con i suoi cinque figli più una bambina cinese con grave disabilità e mi raccontava che da quando era arrivata la bambina non dormiva più la notte. Restava sveglia anche ore al suo capezzale per rasserenarla o darle da mangiare. Roberta e la sua famiglia sono una forte provocazione. Cosa spinge una donna, avvocato, con una famiglia benestante alle spalle, una casa propria e cinque figli da allevare, ad avere ancora spazio nel suo cuore per amare una bambina con tutti quei problemi?
Viviamo in un mondo in cui ciò che conta è essere efficienti, produttivi. Tutto ciò che si fa è per avere in cambio qualcosa. Rincorriamo sogni di potere e di autoaffermazione e non diamo più spazio alla bellezza e alla gratuità. Ha ragione Susanna Tamaro nel suo ultimo libro, Un cuore pensante, quando scrive che «il brutto ha invaso ogni campo dell’umano. Un libro è esaltato quando esibisce il degrado cinico dell’uomo, la musica quando sfugge alle leggi dell’armonia; le arti visive propongono sempre più spesso opere discutibili che solo l’astuto mercato dell’arte cinese riesce a imporre come capolavori». E aggiunge: «Invece della bellezza, davanti a noi abbiamo il suo cadavere».
Abbiamo bisogno di gratuità. Di sguardi limpidi, di mani tese, di sentimenti autentici. I nostri figli, i nostri giovani hanno il diritto di essere educati al Bello, al Vero, al Bene. Se essi hanno davanti solo genitori impegnati a lavorare per fare profitto, pronti sul posto di lavoro a scendere a qualsiasi compromesso e sotterfugio pur di avanzare nella carriera, genitori troppo occupati tra beauty farm e palestre, che rincorrono il mito dell’eterna giovinezza per paura di affrontare l’avanzare imperterrito del tempo, chi li educherà alla bellezza del dono? Dove impareranno il sacrificio, la dedizione, il mettersi da parte per fare spazio all’altro, il consumarsi per l’altro senza aspettarsi il contraccambio? Nel romanzo I fratelli Karamazov, Dostoevskij approfondisce il concetto a lui molto caro che solo la bellezza salverà il mondo. Un ateo, Ipolit, domanda al principe Mynski: «In che modo la bellezza salverebbe il mondo?». Il principe non dice nulla ma va da un giovane di diciotto anni che sta agonizzando. Lì rimane pieno di compassione e amore finché quello muore. Con questo voleva dire: è la bellezza che ci porta all’amore condiviso con il dolore. Il mondo sarà salvo oggi e sempre fin quando ci saranno persone che brillano di questa gratuità.
Fonte: Puntofamiglia.it