Uno spezzino al Sinodo: Giacomo Bertolini e la sua esperienza
— 22 Novembre 2015 — pubblicato da Redazione. —LA SPEZIA – Anche uno spezzino ha partecipato al Sinodo dei vescovi tenutosi a Roma in ottobre: l’avvocato rotale Giacomo Bertolini, docente di diritto canonico alla Pontificia Università Urbaniana ed alla Università statale di Padova.
Il professor Bertolini, tornato alla Spezia, ha così voluto “restituire” per quanto possibile ai suoi concittadini la sua esperienza sinodale. Lo ha fatto l’altro venerdì, su invito di monsignor Orazio Lertora, nella parrocchia di Santa Rita, alla Spezia, davanti ad un pubblico numeroso ed attento, stimolato dalle domande di Italo Lunghi, di Tele Liguria Sud. Nella sua qualità di esperto, Bertolini ha seguito, giorno dopo giorno, le attività del Sinodo ed ha così potuto sperimentarne in prima persona una fondamentale caratteristica: quella del camminare insieme.
Si è trattato di una esperienza davvero gratificante, in quanto vera esperienza di Chiesa, sia nel confronto delle idee, sia nella condivisione, nell’intervallo dei lavori, di un bicchiere d’acqua o di un caffè con un vescovo della Papuasia o magari con lo stesso Papa Francesco, che ogni giorno non ha mai fatto mancare la sua presenza.
E’ stato un cammino del tutto particolare, perché erano presenti i cinque continenti, rappresentati dai pastori di tutte le conferenze episcopali e da laici, uomini e donne, con differenti sensibilità, per lingue, culture e competenze diverse.
Una diversità che aveva però denominatore comune nella medesima fede e nello stesso impegno volto alla ricerca della verità. Come un raggio di luce attraversando un prisma si divide in tanti colori, così le tante idee espresse sul tema della famiglia, pur con accentuazioni diverse, avevano la stessa meta a cui tendere. Diversamente dalle attese suscitate dai media, non si c’è stato alcuno scontro di idee contrapposte, tra conservatori e progressisti, ma di un cammino, anche se faticoso, per la ricerca del “vero bene”.
E’ emerso il volto di una Chiesa non arcigna e severa, ma materna e colma di misericordia verso le ferite di una umanità ridotta oggi a vivere, per carenza di vero amore, in quella precarietà più volte definita dal Papa “ospedale da campo”.