Jean Vanier: elogio della tenerezza, antidoto alla violenza
— 10 Dicembre 2015 — pubblicato da Redazione. —All’Arca, abbiamo lavorato con uno psichiatra, un uomo eccezionale. Non era credente, ma era profondamente umano. Un giorno sono andato a trovarlo e gli ho chiesto: «Secondo te, che cos’è la maturità umana?». E lui mi ha risposto: «È la tenerezza». Perché la tenerezza è l’opposto della violenza. È un atteggiamento del corpo: degli occhi, delle mani, del tono di voce [ … ]. Consiste nel riconoscere che l’altro è bello e nel rivelarglielo. Ma con il nostro corpo, attraverso la nostra maniera di ascoltarlo, le parole che gli rivolgiamo. Gesù è venuto a insegnarci la tenerezza. È l’atteggiamento che permette di accogliere l’altro e di vivere in relazione con lui. Ma poi c’è la paura. Ho paura che l’altro mi schiacci. Per questo il cuore del messaggio di Gesù è: amate i vostri nemici! «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male» (Lc 6,27-28). È incredibile. Gesù è probabilmente la prima persona nella storia dell’umanità che osi chiederci una cosa così impossibile. Perché lo sappiamo tutti che è impossibile. Se venite a sapere che qualcuno parla male di voi, dietro alle vostre spalle, provate a dire bene di lui! Non ci riuscirete. Vi si gonfieranno le ghiandole, proverete ma… niente da fare! Perché la vita protegge la vita. Ci difendiamo. E se ci arriva una pietra addosso, reagiamo eccome, ci proteggiamo! Se qualcuno cerca di schiacciarmi, io mi difendo! A meno che… Dio stesso non ci dia un difensore! Ed è ciò che effettivamente accade: è il Paraclito! Vi dicevo che, fra le traduzioni del termine Paraclito, c’è il difensore, il consolatore, l’intercessore, l’avvocato. È colui che parla in mio nome per difendermi. Amare i nemici non è una cosa possibile! Perdonare non è possibile!
Mi ricordo di essere andato in Rwanda dopo il genocidio. Ho parlato con una giovane donna che aveva perso 75 membri della sua famiglia, tutti massacrati. E diceva: «Ho tanto odio dentro di me! Nessuno che mi chiede perdono. E parlano di riconciliazione!». È comprensibile che sussista un desiderio di vendetta e il bisogno di difendersi, quando si è subìto tanto male – un male reale. Il perdono è qualcosa di molto difficile, soprattutto quando si è profondamente feriti nel proprio corpo e nella psiche. Come quella ragazza che per anni ha subito abusi sessuali da parte di uno zio che la minacciava di ucciderla se avesse parlato. Un giorno ha avuto il coraggio di parlarne a sua madre, la sorella dello zio. E la madre si è arrabbiata con lei, accusandola di mentire. Per questa ragazza, la guarigione è un percorso lungo. E nel nostro mondo ci sono tante situazioni di violenza, tante persone che fanno o subiscono il male! È una strada lunga, imparare ad amare l’altro diverso-da me. Ed è ancora più lungo perdonare. Abbiamo bisogno dello Spirito di Dio, di una comunità, di essere accompagnati, per poter progressivamente prendere coscienza del male subìto e camminare verso il perdono.
Prima mi rendo conto che una persona mi ha fatto del male e che questo male ha distrutto alcuni elementi della mia vita e della mia speranza. Allora cerco di accettare questa realtà. Gesù è venuto a portarci la pace e il perdono. È venuto a riconciliarci, trasformando le nostre violenze in tenerezza. Ma la strada è lunga. E perché tale trasformazione si compia, occorre il sostegno di una comunità e di un accompagnatore. Il cammino non si fa da soli, subito, con la bacchetta magica. Soprattutto se il male ci tocca da vicino: nella nostra persona, nella famiglia, in un essere caro. Allora il perdono è davvero un processo molto lungo!