Adozione gay, «ignorate tante sofferenze»
— 14 Dicembre 2015 — pubblicato da Redazione. —Non è soltanto una sentenza talmente creativa da risultare del tutto estranea al nostro ordinamento giudiziario. Non soltanto supera per portato ideologico il già assurdo disegno di legge Cirinnà. Non soltanto appare una prevaricazione del giudice sul legislatore. La sentenza resa nota l’altro ieri, con cui la Corte d’appello di Milano ha concesso l’adozione «piena e legittimante » di una ragazzina dodicenne alla compagna ‘divorziata’ di una donna che aveva concepito in Spagna con la fecondazione eterologa, apre una serie di questioni preoccupanti, in cui il profilo giuridico si intreccia con quello umano, etico, educativo e culturale. Tra le altre questioni, quella del riconoscimento delle proprie origini biologiche potrebbe sembrare marginale solo a chi ignora la sofferenza profonda suscitata dal fatto di non avere consapevolezza del proprio passato familiare. Se è vero, come riconoscono studi psicologici di diversa estrazione culturale, che le radici biologiche materne e paterne sono parte integrante dell’identità delle persona, esserne privi equivale spesso a uno smarrimento profondo che non di rado si trasforma in disagio patologico.
Proprio su questi presupposti, lo scorso 18 giugno la Camera ha approvato il disegno di legge per il riconoscimento delle origini biologiche per le persone adottate. Ora il testo è al Senato, anche se non si sa ancora quando potrà essere avviato il nuovo iter in Commissione per il via libero definitivo della legge. Il Comitato nazionale per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche chiede di fare in fretta ma, allo stesso tempo, riconosce che tra pochi anni gli stessi diritti reclamati dalle persone adottate, potranno riguardare chi è nato con la fecondazione eterologa o, peggio, con la pratica dell’utero in affitto. «Noi che conosciamo la sofferenza che deriva dall’ignorare l’identità della nostra mamma biologica o del nostro papà – spiega Anna Arecchia, presidente del Comitato – riteniamo giusto porre una questione per troppo tempo passata sotto silenzio. Siamo fermamente contrari a tutte le pratiche che non permettono di far conoscere al nascituro le proprie origini». Qui le opinioni politiche o culturali non c’entrano nulla. Si parla di esigenze umane, di un anelito profondamente connaturato con il bisogno di conoscere il nome e il volto dei propri genitori naturali. Ecco perché pratiche come l’eterologa, il commercio dei gameti o l’utero in affitto sono destinati inevitabilmente ad accrescere sofferenza e ingiustizia. Tutto da definire poi il tema dell’omogenitorialità. Paola Crestani, presidente Ciai (Centro italiano aiuti infanzia) che conta oltre 1.500 soci in tutta Italia e si occupa soprattutto di adozione internazionale, non vuole entrare nel merito della capacità genitoriali delle coppie omosessuali.
«Ma per quanto riguarda l’adozione internazionale – spiega – le coppie dello stesso sesso rischiano di rappresentare un problema in più per un bambino che arriva da un Paese lontano, già provato da situazioni molto difficili e spesso da varie sofferenze psico- fisiche». Non si tratta di una valutazione morale, ma di una scelta di opportunità che pone al centro l’interesse del minore. «Oggi i pregiudizi che circondano le coppie dello stesso sesso sono ancora così forti da rappresentare per un bambino in difficoltà un disagio aggiuntivo. E non ci sembra davvero il caso di prevederne altri per un minore che nella vita ha già sopportato tante difficoltà». Tornando al caso Milano, rimane l’inaccettabile contraddizione tra il lungo iter di verifiche e di controlli a cui sono sottoposti dal Tribunale dei minori i genitori eterosessuali che vogliono adottare un bambino e l’estrema celerità con cui la Corte d’appello ha deciso il caso delle due mamme ‘divorziate’. Una discriminazione al contrario di cui non si sentiva davvero il bisogno.
Fonte: Avvenire.it