Il biglietto di auguri che il detenuto Daccò ha inviato anche a noi si intitola “Tutto ‘nasce’ da una ferita”. Leggiamone insieme qualche passo
Piero Daccò è un tale che si è fatto (per adesso) quattro anni di detenzione “preventiva” e che (per adesso) è stato condannato per bancarotta a 9 anni di carcere “definitivo”. Mentre altre persone accusate con Daccò per lo stesso reato, ma che non hanno scelto con Daccò lo stesso rito abbreviato, in un altro processo sono state assolte «perché il fatto non sussiste». In effetti la Cassazione ha rilevato l’incompatibilità tra le due sentenze. Annullando parzialmente quella riguardante Daccò (2014) e chiedendo un secondo giudizio per rideterminare la pena di Daccò. Nel loro secondo giudizio i giudici di Milano hanno riconfermato i nove anni e la Cassazione ne ha preso atto (2015), apparentemente contraddicendo la propria precedente decisione.
Ma non è questo il punto. Il punto non è neanche che Daccò sarebbe dovuto uscire dal carcere alla scadenza dei termini di “custodia cautelare” e invece resta in carcere nel pieno rispetto della legge (che, per carità, sappiamo essere molto “elastica”). Prima di Natale, un giudice ha deciso la sua liberazione. Alla condizione, però, che egli portasse il “braccialetto elettronico”. «Purtroppo il numero dei “braccialetti” è limitato», è stato spiegato ai difensori del detenuto. Perciò Daccò è rimasto in cella.
Il punto è questo: il biglietto di auguri che il detenuto Daccò ha inviato anche a noi (tra gli altri) fratelli. Si tratta di un foglio illustrato con la foto di Aylan, il bambino siriano trovato morto annegato sulla spiaggia di Bodrum, Turchia. Non si intitola “Buon Natale”. Si intitola “Tutto ‘nasce’ da una ferita”. Leggiamone insieme qualche passo.
«Quello che sono rimane per me ancora un’incognita: sono tormentato e insieme felice, carico di bene e di male, uno che benedice e si sente affranto, uno che dispera e spera insieme… È difficile, quasi impossibile, dire Dio, così come è difficile, quasi impossibile dire il dolore. Forse sono le due facce dello stesso mistero. E non è stato ancora inventato l’alfabeto capace di decifrare la sofferenza del corpo e dell’anima. A me aiuta volgermi nella direzione di Gesù abbandonato… Tutto ciò che è nuovo nasce sempre da una ferita. Gesù abbandonato ha fatto sorgere in me e attorno a me un amore particolare per chi porta con sé delle difficoltà. La ferita è spesso il luogo dell’incontro: il passaggio per noi nell’altro e il passaggio per l’altro in noi. È ancora il luogo dell’incontro con Dio: un Dio dal volto ancora misterioso… Se ammettiamo la nostra miseria personale, questa povertà, questa debolezza potrà diventare lo spazio libero in cui Dio potrà continuare a creare».
Ecco, in queste parole noi sentiamo che un sentenziato “delinquente” ci sta dicendo cos’è Natale. Introducendoci, esistenzialmente, a Gesù abbandonato, Continuatore della creazione, perciò Salvatore, e questo è il punto definitivo, dal Vangelo secondo Matteo, «perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Te Deum.
Fonte: La migliore sintesi del Natale arriva dal carcere | Tempi.it