La scelta di Dominique e il senso della vita
— 4 Gennaio 2016 — pubblicato da Redazione. —Vado a letto con un groppo in gola. Il sonno non vuol saperne di arrivare. Penso. Rifletto. Prego. Mi sforzo di capire. Non voglio giudicare. Non voglio rinchiudermi nelle mie certezze. Il volto di Dominique Velati mi tormenta. Dominique è morta pochi giorni fa. Potremmo dire che l’hanno uccisa. O, magari, che si è fatta uccidere. E sarebbe la cruda verità. Una verità, però, che avrebbe il sapore della polemica. E io voglio tenermi lontano da ogni forma di polemica.
Ho visto il video in cui Dominique viene intervistata pochi giorni prima di partire per la Svizzera dove le sarebbe stata praticata l’eutanasia. La signorina che la interroga lo fa con garbo e gentilezza. Le domande sono poste con rispetto. Lei parla. Racconta di se stessa, della sua malattia. Dice che l’ospedale le ha dato al massimo da vivere ancora tre anni di vita, forse meno. Il cancro spaventa. Di qui la decisione di andare incontro alla morte. Volontariamente. Liberamente. Prima che il suo corpo si ribelli a ogni suo comando. Guardo, poi, un altro video, quello del commiato di Emma Bonino. Le sue parole, rispettose, composte, tradiscono anche una certa emozione. Parla con lentezza. Saluta la vecchia amica di tante battaglie. Poi conclude con l’augurio: «Che la terra ti sia lieve». Mi accorgo di rabbrividire. È come cantare il “requiem” al capezzale di un ammalato. Non mi piace. Mi rattrista. Mi addolora.
Lei, Dominique, dice di essere serena. Può darsi che lo sia. Racconta di un cugino che si è proposto di tenerle la mano quando sarà il momento. Lei ha rifiutato. Non voglio entrare – almeno non adesso – nel dibattito pro o contro l’ eutanasia. Voglio, se ci riesco, rimanere un uomo del mio tempo. Un credente, un prete, che si sforza di ragionare laicamente. Di comprendere le ragioni di chi la pensa in modo diverso dal mio. Voglio che i diritti di tutti vengano riconosciuti e rispettati. I diritti. Ma quali? È un diritto chiedere di morire quando si ritiene che sia giusto?
Ho visto il video in cui Dominique viene intervistata pochi giorni prima di partire per la Svizzera dove le sarebbe stata praticata l’eutanasia. La signorina che la interroga lo fa con garbo e gentilezza. Le domande sono poste con rispetto. Lei parla. Racconta di se stessa, della sua malattia. Dice che l’ospedale le ha dato al massimo da vivere ancora tre anni di vita, forse meno. Il cancro spaventa. Di qui la decisione di andare incontro alla morte. Volontariamente. Liberamente. Prima che il suo corpo si ribelli a ogni suo comando. Guardo, poi, un altro video, quello del commiato di Emma Bonino. Le sue parole, rispettose, composte, tradiscono anche una certa emozione. Parla con lentezza. Saluta la vecchia amica di tante battaglie. Poi conclude con l’augurio: «Che la terra ti sia lieve». Mi accorgo di rabbrividire. È come cantare il “requiem” al capezzale di un ammalato. Non mi piace. Mi rattrista. Mi addolora.
Lei, Dominique, dice di essere serena. Può darsi che lo sia. Racconta di un cugino che si è proposto di tenerle la mano quando sarà il momento. Lei ha rifiutato. Non voglio entrare – almeno non adesso – nel dibattito pro o contro l’ eutanasia. Voglio, se ci riesco, rimanere un uomo del mio tempo. Un credente, un prete, che si sforza di ragionare laicamente. Di comprendere le ragioni di chi la pensa in modo diverso dal mio. Voglio che i diritti di tutti vengano riconosciuti e rispettati. I diritti. Ma quali? È un diritto chiedere di morire quando si ritiene che sia giusto?
Non ho conosciuto Dominique. Nei vari filmati disponibili su Internet, però, la vedo sola. Troppo sola. Sola con se stessa. Con il suo dolore. Con il suo mistero. Con la decisione presa. Una solitudine che mi agghiaccia. Gli amici che la sostengono sono troppo rispettosi della sua libertà. È un bene? A volte sì, altre volte no. «La libertà – scriveva Charles Peguy – è la più bella invenzione di Dio». È vero. Ma è l’amore il sentimento che ci fa veramente uomini e donne. Come sarebbe stato bello vedere accanto a quella donna distinta, fiera, ma impaurita dal dolore e dalla morte che intravede all’orizzonte, una persona cara che le dicesse: «Non ti scoraggiare. Non essere egoista e io non lo sarò. Non pensare solo a te. Lotteremo insieme. Conta su di me. Vieni, appoggiati sulla mia spalla. Permettimi di alleviare il tuo dolore. Ho bisogno di te…».
C’è un tempo per ogni cosa. C’è un tempo per nascere e uno per morire. C’è il tempo della spensieratezza e il tempo in cui sei avvolto nel mistero immenso della vita, della sofferenza, della morte. Ma il dolore gli uomini non lo sconfiggeranno mai. Potranno solo tentare di alleviarlo. Di curarlo. Di lenirlo. Di assumerlo sulle loro spalle. Il malessere, la sofferenza, il tedio della vita possono dipendere da tantissimi fattori. A volte è il proprio corpo che si ammala. Altre volte è quello della persona amata. Altre volte ancora a ferirti è proprio colui al quale avevi donato il cuore. «Simone, Simone, quando eri giovane ti cingevi e andavi dove tu volevi, quando sarai vecchio un altro ti cingerà e ti porterà dove non vorresti», disse Gesù a san Pietro. Cominciamo a esistere essendo un puntino invisibile che nel tempo si trasformerà milioni di volte. L’ultima grande trasformazione sarà la morte. Si soffre. È vero. Si soffre in tanti modi. Per tanti motivi. Ma anche si combatte. Si lotta. Ci si arma per andare in guerra. E in questa guerra “chi ha avuto di più deve dare di più”.
Cara, cara Dominique… mio fratello è morto un anno fa. Era un gigante buono. Aveva la forza di un leone. La leucemia lo inchiodò in un letto. Presto arrivò la sedia a rotelle. «Ecco – disse un giorno – appena il tempo è bello mi porterete a fare un giro in carrozzina». Abbiamo sofferto tanto. Ma quante cose abbiamo imparato stando accanto a lui. Tutto girava attorno a quel letto di dolore. Gli ultimi giorni li conserviamo come un dono. Abbiamo pianto insieme come tante volte avevamo gioito insieme. I nostri bambini hanno imparato che la malattia, la sofferenza, la morte fanno parte della vita. E che sono vita vera da respirare a pieni polmoni anche gli ultimi granelli di sabbia di una clessidra che abbiamo ricevuto in dono.
Cara, cara Dominique… mio fratello è morto un anno fa. Era un gigante buono. Aveva la forza di un leone. La leucemia lo inchiodò in un letto. Presto arrivò la sedia a rotelle. «Ecco – disse un giorno – appena il tempo è bello mi porterete a fare un giro in carrozzina». Abbiamo sofferto tanto. Ma quante cose abbiamo imparato stando accanto a lui. Tutto girava attorno a quel letto di dolore. Gli ultimi giorni li conserviamo come un dono. Abbiamo pianto insieme come tante volte avevamo gioito insieme. I nostri bambini hanno imparato che la malattia, la sofferenza, la morte fanno parte della vita. E che sono vita vera da respirare a pieni polmoni anche gli ultimi granelli di sabbia di una clessidra che abbiamo ricevuto in dono.
Fonte: Avvenire.it