Pio e Mandic, due santi campioni della Misericordia
— 4 Febbraio 2016 — pubblicato da Redazione. —Entrare nella Basilica di San Pietro ed essere subito accolti dalle spoglie mortali di san Leopoldo Mandic e di san Pio da Pietrelcina – due frati cappuccini, particolarmente amati dal popolo, che dedicarono la vita al ministero del confessionale – sarà, per tutti i pellegrini del Giubileo, un richiamo forte per comprendere meglio come incontrare la Misericordia di Dio e lasciarsi abbracciare da essa. Il vivo ricordo dei due santi cappuccini che passavano dieci-quindici ore al giorno nel loro confessionale, e delle lunghe file di penitenti in attesa di affidarsi al loro santo ministero, non rievoca soltanto una maniera – tra le tante possibili – di accostarsi ecclesialmente alla Misericordia di Dio, ma «l’unica maniera pienamente cristiana».
Se dalle biografie dei due umili santi frati cappuccini dovessimo raccogliere le innumerevoli testimonianze di peccatori che si sono pentiti e convertiti ai loro piedi, la prima cosa che otterremmo sarebbe la documentazione di un immenso stupore. E in primo luogo ci sarebbero tutti coloro che giunsero al loro confessionale scarsamente pentiti e scarsamente motivati, e tuttavia attratti da una fama (meglio: dalle «sante chiacchiere del popolo di Dio») che alludeva a una particolare «trasparenza cristologica». Certo, non era questa l’espressione usata, ma tutti capivano che si trattava in fondo della «pazza speranza» di potersi trovare più vicini a Gesù Crocifisso.
Padre Pio la trasmetteva in maniera travolgente, a causa di quelle stimmate che esprimevano la passione del suo cuore ed erano il tormento della sua umiltà. La trasmetteva celebrando Messa con una tale intensità da render quasi percepibile il Sacrificio di Cristo in Croce. E la trasmetteva accogliendo i peccatori pentiti con estrema dolcezza e trattando bruscamente i peccatori ancora arroganti, ma senza disprezzo e comunque sempre con un’ultima invincibile certezza sul trionfo della misericordia. Aveva perfino il dono di poter rifiutare un’assoluzione, con la certezza che il rifiuto era solo «educativo» e che il peccatore sarebbe comunque tornato. E sono innumerevoli le espressioni commoventi che di lui ci sono state tramandate.
Padre Leopoldo, invece, trasmetteva ai penitenti l’evidenza di poter incontrare il Padre Misericordioso, servendosi di gesti prevenienti e accoglienti: dando a ognuno la persuasione di essere atteso, e di aver portato al Padre (a padre Leopoldo stesso e al Padre celeste assieme) il dono gradito della loro stessa persona, e perfino quello della consegna dei loro peccati! Era meno severo di Padre Pio, ma ai suoi critici, che l’accusavano d’esser troppo condiscendente, rispondeva: «Ci ha dato l’esempio Lui! Non siamo stati noi a morire per le anime, ma ha sparso Lui il suo sangue divino. Dobbiamo trattare le anime come ci ha insegnato Lui col suo esempio».
Possiamo dire che, dall’incontro tra i due santi confessori e i loro innumerevoli penitenti, il dono che costantemente emergeva non era nemmeno quello della misericordia divina così abbondantemente ed efficacemente amministrata, ma quello del loro “sacerdozio”, inteso come luogo vivente dell’incontro misericordioso: tra Cristo e il peccatore, tra il perdono e il pentimento, tra la speranza e l’espiazione. Nel loro confessionale o nella celletta dove accoglievano i visitatori, nemmeno per un istante si poteva pensare che il peccato fosse qualcosa di trascurabile, o che l’appello alla misericordia potesse tramutarsi in approfittamento. Padre Pio lo mostrava spesso con la sua irruenza e con le sue lotte segrete col demonio che voleva portargli via coloro che a lui si affidavano. E spesso sembrava un altro Cristo in Croce.
Padre Leopoldo aveva, invece, un segreto più dolente. Egli non si accostava al peccatore confidando nella propria fama di santità; anzi li accoglieva tutti mettendosi, con umile sincerità, al loro stesso livello: «Non abbia paura, sa, non abbia riguardo! Vede, anch’io, benché frate e sacerdote sono tanto misero…». Si accostava con l’assoluta fede d’esser collocato là dove la misericordia di Dio, per suo mezzo, voleva riversarsi sul mondo; e là dove il peccatore, sempre per suo mezzo, si abbandonava a Dio. Negli ultimi anni era così turbato che, a volte, passava la notte a piangere e lo assaliva un terrore indefinito e cercava – come Gesù nell’orto – qualche persona amica che gli tenesse compagnia. Dissero i testimoni che, anche sul letto di morte, «sembrava come Gesù in croce, quando su di lui pesava tutto il peccato del mondo e si sentiva abbandonato dal Padre celeste». Solo la parola del suo confessore lo tranquillizzava interamente, quando su di lui scendeva quella stessa grazia del perdono che egli aveva distribuito agli altri.
Insomma, non è facile spiegare la gloriosa e difficile missione che Dio affidò, sia a Padre Leopoldo che a Padre Pio, di vivere ed esperimentare (anche per i loro penitenti) tutta la drammatica e dolorosa bellezza del sacramento della confessione, oggi così trascurato da tanti cristiani! A ogni cristiano bisognerebbe ripetere instancabilmente: il mistero della Redenzione riguarda proprio te: proprio il tuo bisogno di salvezza, proprio il tuo destino! E se hai la fortuna di incontrare un santo confessore, diventa “suo figlio spirituale”, non per farti blandire, ma per diventare davvero, anche tu, quel che già sei: “figlio di Dio!”
Fonte: LaNuovaBQ.it