In quale contesto si inserisce il libro Contro la Croce?
«Il libro è stato pubblicato l’anno scorso, dopo che, nell’estate del 2014, le televisioni di tutto il mondo si riempirono delle immagini di orrore ed oppressione provenienti dal Medio Oriente, in particolare da Siria ed Iraq. La furia del terrorismo islamista aveva proclamato un sedicente Califfato a cavallo tra i due Stati, riproponendo la persecuzione delle minoranze religiose ed etniche, cristiane e yazide in particolare. Le persecuzioni anticristiane nel biennio 2013-2015 sono aumentate in 17 Paesi su 22 presi in esame (Rapporto 2015 sulla Libertà religiosa pubblicato da Aiuto alla Chiesa che soffre). Il numero degli Stati classificati come di estrema persecuzione sono passati da sei a dieci. Alcuni casi hanno fatto molto scalpore come quello di Asia Bibi, una donna pakistana madre di quattro figli, trascinata in carcere con l’accusa infamante del reato di blasfemia, reato con il quale si discriminano le minoranze religiose. Altro caso che ha fatto scalpore, quello della giovane donna sudanese Meriam Ibrahim accusata di apostasia dalla sua stessa famiglia per la sua conversione al cristianesimo, caso che fortunatamente si è risolto grazie alla doppia nazionalità sudanese e statunitense della donna».
Quindi che situazione vivono i cristiani in Medio Oriente?
«Direi che sono intrappolati in una guerra tutta interna al mondo islamico che, come sappiamo, si combatte tra musulmani sciiti e musulmani sunniti. I primi facendo riferimento a Paesi come Iran, Siria, Libano e i secondi, più numerosi, ad Arabia Saudita, Emirati, Turchia, Qatar, Egitto e altri. Le minoranze cristiane sono oggi ostaggio delle diverse fazioni islamiste, impegnate tra di loro a competere per la supremazia politica nella regione. A fronte di un Egitto che sembra faticosamente rientrare in un’orbita occidentale, fa da contraltare il caos che si diffonde nella costa sud del mediterraneo, Libia, Tunisia, Siria. In questi Paesi, dove una coesistenza pacifica tra le due comunità si era gradualmente affermata, ora vige il più imprevedibile fanatismo. I miliziani che combattono in questi Stati non vogliono solo portare avanti il proprio progetto politico, ma cercano di riproporre lo schema aberrante del califfato con le sue leggi. Quella che anche in Siria era iniziata come primavera araba, si è trasformata in una guerra per procura in cui ormai prevale solo il fanatismo religioso. Prime vittime di tutto ciò sono i cristiani che restano nelle loro terre e non vogliono accettare la conversione. Fa riflettere il fatto che la persecuzione dei cristiani derivi non da un inesistente pericolo, come se essi fossero un avamposto dei “crociati”, ma da tutt’altre ragioni. Infatti la presenza dei cristiani rappresenta un elemento di stabilizzazione nei conflitti. In Nazioni come la Siria i cristiani hanno convissuto pacificamente decine d’anni insieme ad etnie di altre confessioni religiose. Adesso anche quegli stessi musulmani che prima vivevano pacificamente accanto, sono spesso diventati delatori e combattenti. Tutto per non scadere nella considerazione della parte al momento vincente. È opinione comune che nel mondo islamico torneranno a convivere pacificamente sunniti e sciiti solo quando sarà pienamente accettata e riconosciuta la presenza dei cristiani. Per queste ragioni la presenza dei cristiani in medio oriente rappresenta un fattore di stabilizzazione».
La situazione dei cristiani ha riscosso l’attenzione mediatica che avrebbe meritato?
«In un mondo che si mobilita per ogni causa nobile e giusta, occorre riconoscere che, in questa circostanza, solo la voce del Papa si è fatta sentire in varie occasioni pubbliche. Durante l’Angelus del 23 Giugno 2013, ad esempio, ha detto: “Pensiamo a tanti fratelli e sorelle cristiani che soffrono persecuzioni a causa della loro fede. Ce ne sono tanti. Forse molti di più dei primi secoli.“»
Per questo avete deciso di organizzare la presentazione del libro alla Spezia?
«Dobbiamo assolutamente far emergere quello che sta succedendo. Esiste il bisogno di un urgente impegno della comunità internazionale a favore di queste popolazioni, di tutte le fedi ed etnie, di questi Stati le cui economie sono ormai in ginocchio. Forte è stato l’appello del Papa e del Patriarca Kirill ad intervenire in quelle zone. Purtroppo un intervento non è facile perché si tratta di una guerra che, pur sviluppandosi tra Siria ed Iraq, coinvolge interessi e Nazioni molto più estese. Ma questo non deve scoraggiare gli interventi umanitari come successe al tempo della guerra nella ex-Iugoslavia. Girare gli occhi dall’altra parte mentre migliaia di persone vengono uccise non solo non è cristiano ma non è nemmeno umano. A maggior ragione quando tutto avviene a meno di 400 Km dalle nostre coste e quando sopportiamo anche noi il contraccolpo di un esodo biblico di quelle popolazione che fuggono dalla guerra. Potremmo dire, comunità internazionale, Europa, alza la testa e guarda: se non per senso di umanità almeno per un egoistico tornaconto».