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CONFESSIONE: “Normalizzato” il peccato, l’uomo è senza speranza –

Il ventisettesimo “Corso sul Foro Interno” presso la Penitenzieria Apostolica si è aperto ieri pomeriggio con la Lectio magistralis del Penitenziere Maggiore cardinale Mauro Piacenza. Il corso risulta di particolare attualità per almeno due motivi: l’Anno giubilare della Misericordia, in cui un ruolo centrale non può che spettare al sacramento della Confessione, e poi l’ormai prossima pubblicazione dell’esortazione post-sinodale di papa Francesco, che dovrebbe riprendere anche il tema del Foro interno come via pastorale per l’accesso dei divorziati risposati al sacramento della Eucaristia.

Come sappiamo la Relatio Synodi 2015 aveva prospettato, al paragrafo 86, che «il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. FC, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa». Con queste parole i padri sinodali avevano tracciato l’orizzonte finale di un percorso pastorale per i divorziati risposati, dopo aver assai discusso dentro l’Aula nuova del doppio Sinodo sulla famiglia.

Quando si parla di “foro interno” si fa riferimento, ovviamente, al sacramento della Riconciliazione, un sacramento da molti ritenuto in profonda crisi. E di sacramento della Riconciliazione da «mettere al centro» ha parlato ieri il cardinale Piacenza rivolgendosi ai partecipanti al corso. «In un contesto che nega Cristo», ha detto il cardinale, «è urgente riaffermare la verità dell’Incarnazione e l’unicità del valore salvifico della Croce. In un contesto che canonizza il mondo, è necessario riscoprire l’irriducibile differenza giovannea tra Chiesa e mondo, nella umile e lucida accettazione del fatto che “gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce” (Gv 3, 19). Di fronte alla menzogna riguardo al peccato, emerge l’esigenza di educare gli uomini a chiamare le cose con il proprio nome, senza ambiguità». Bisogna fuggire, ha detto il cardinale, la «normalizzazione del peccato», cioè la sua «giustificazione sociale, la riduzione psicologica della libertà umana, la de-responsabilizzazione rispetto ai propri atti, che sarebbero indeterminatamente condizionati da altro… Tutte teorie rivelatesi inadeguate alla dignità umana».

Da queste parole risulta abbastanza chiaro che il “colloquio in foro interno”, così come indicava anche il paragrafo n°86 della Relatio Synodi, non può prescindere «dalle esigenze di verità e carità del Vangelo proposte dalla Chiesa». Non può di certo essere inteso come una specie di seduta di analisi, né come una sorta di bonaria pacca sulla spalla, o una ratifica, senza conversione, di atti oggettivamente in contrasto con la legge di Dio. A chi vorrebbe normalizzare il peccato, conclude Piacenza, «rispondiamo mettendo al centro il sacramento della Confessione. Nel sacramento della Confessione è sconfitta quella radicale solitudine che l’uomo prova nel suo peccato, che l’uomo vive in un mondo falsamente perfetto, che l’uomo vive ogni volta Cristo è negato».

La radice profonda di questa “normalizzazione” ha una sua tragica realtà, perché ontologicamente, spiega il cardinale, «significa rendere superflua la Croce, ridurla a un mero atto di autodeterminazione non violenta, senza alcun valore, né sacrificale, né espiatorio». Ecco la negazione di Cristo che porta alla solitudine dell’uomo: incapace di darsi la salvezza da sè, incapace di uscire con le sue sole forze dalle sacche del proprio egoismo, e così, infine, incapace di accogliere quella misericordia che stiamo giustamente celebrando nell’anno giubilare.

Fonte: LaNuovaBQ.it

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