Se non entriamo in sintonia con la loro intimità tra i 7 e i 12 anni, possiamo trovarci all’improvviso di fronte a un estraneo
Arriva un’età in cui i bambini si vestono e si lavano da soli, passano gran parte della giornata a scuola, ci raccontano tutto con dovizia di particolari e non mostrano ancora i sintomi dell’adolescenza.
Sembrerebbe ideale… ma bisogna fare attenzione, stare accanto a loro e dimostrare molto affetto perché si stanno preparando a entrare in tappe molto più complesse del loro sviluppo.
“Dov’è Marco?”, chiede il papà tornando a casa la sera.
“In camera sua”, risponde la mamma. “Ha passato tutta la giornata giocando con le macchinette. Non si è neanche sentito”.
Che meraviglia! A quell’età i bambini smettono di essere i piccoli iperdipendenti che vanno nutriti, vestiti, lavati e portati al bagno, e ci lasciano molto più tempo libero per fare le nostre cose.
È tuttavia ancora lontana l’adolescenza con i suoi episodi di ribellione e le inevitabili prese di distanza, e potremmo pensare che ci stiamo godendo una vera ricreazione educativa.
Grande errore. Anche se Marco passa tutto il giorno in camera sua a giocare con le macchinette, senza richiedere l’attenzione dei suoi genitori, il suo mondo interiore sta crescendo molto più rapidamente di quanto appaia all’esterno, e se non stiamo attenti, proponendoci istanti precisi e concreti per collegarci alla sua intimità che si sta consolidando, possiamo trovarci dal giorno alla notte con un estraneo diventato un adolescente molto lontano da noi.
Le carezze psicologiche
Quando conosciamo casi di adolescenti molto lontani dai genitori, al punto da essere dei veri estranei che vivono sotto lo stesso tetto, non possiamo semplificare dicendo che “c’è stata una mancanza di affetto”.
La cosa più probabile è che quei genitori amino i propri figli. È solo che non si sono resi conto del fatto che dovevano trasformare i loro rapporti affettivi.
Il bambino smette inevitabilmente di essere un bebè che abbracciamo e baciamo in ogni momento. Non lo portiamo più a letto in braccio, né gli stiamo vicini per farlo addormentare.
Baci e abbracci diminuiscono, mentre aumentano altri tipi di esigenze, scolastiche o familiari.
Anche se è del tutto naturale non baciarlo più tutto il giorno, dobbiamo proporci di non perdere mai la buona abitudine di relazionarci fisicamente ai figli.
Un bacio quando vanno a scuola, un bacio quando tornano a casa, un abbraccio al momento di congratularsi con loro per qualcosa, una carezza sui capelli in qualche momento della giornata non sono mai superflui e non hanno mai fatto male a nessuno.
L’espressione dell’affetto va ovviamente molto al di là di questi gesti, e sarebbe un errore credere che basti baciare i figli perché tutto vada bene.
Questo errore viene in genere commesso dai genitori che vogliono riparare alla mancanza di affetto fisico ricevuto nella propria infanzia, visto che le generazioni precedenti erano molto più formali della nostra nel rapporto con i figli.
Il clima affettivo è per tutti
L’espressione positiva dell’affetto è quella che fa sentire bene l’altro. Nel caso di un figlio, lo faranno sentire bene il calore fisico dei genitori e le loro cure e attenzioni costanti.
Nel caso di un bambino tra i 7 e i 12 anni, al calore fisico si uniscono altri aspetti importanti:
– Il clima emotivo domestico: crescere in una casa in cui non ci sono grida e pianti costanti è del tutto diverso dal crescere in uno spazio in cui c’è una costante guerra di potere tra chi ci abita.
Nel primo caso, la famiglia inserisce il bambino in una realtà piacevole, e il piccolo consolida la propria identità in un clima emotivo stabile; nel secondo, gli adulti praticamente lo gettano in un mondo avverso, in cui cresce con un’infinità di insicurezze.
– Il modo di comunicare della famiglia: se il bambino impara che qualunque cosa succeda può contare sulla fiducia dei suoi genitori, si sentirà sempre bene. Non serve dire “Abbi fiducia” – bisogna dimostrarglielo con i fatti.
Per questo, è bene che il figlio ascolti il papà e la mamma confidarsi qualche dispiacere o preoccupazione (ad esempio un piccolo problema sul lavoro). Non si tratta di intristirlo o preoccuparlo, ma di dimostrargli che la famiglia condivide i dolori e che siamo sempre disposti ad ascoltare e a comprendere chi sta passando un momento negativo.
– Gli spazi destinati a trascorrere momenti di intrattenimento: non è solo stare insieme in casa. Al bambino di quell’età piace uscire. Lo capivamo chiaramente nella tappa precedente, quando il piccolo diventava smanioso se non lo portavamo un po’ a spasso.
In questa tappa non cambia, ed è importante che i genitori condividano con i figli il tempo libero senza egoismi.
A volte serve eroismo, perché il papà potrebbe preferire di gran lunga andare in bicicletta o giocare a calcio con altri adulti e la mamma prendere un caffè con le amiche.
Per un bambino, però, è fondamentale sentirsi accettato nel mondo dei genitori, integrato in alcuni dei loro panorami; in caso contrario è inevitabile che sospetti che meno si nota più sarà amato.
Fonte: Aleteia.org