Una volta, molti anni fa, quand’ero inviato speciale di alcuni giornali anche laici e di Mondo e Missione (ne ero il direttore), un amico giornalista mi chiese: «Qual è il segreto della tua vita? Perché tu affronti guerre, dittature, pericoli di ogni genere, vai tra i lebbrosi e nelle baraccopoli più disastrate e pericolose, e sei sempre sorridente…». Ho risposto: «Il mio segreto è la preghiera». L’amico non ci credeva, eppure è proprio così.
Tutti i popoli pregano, anche i non credenti avvertono il bisogno di rivolgersi a Dio. Ma il cristiano sa che la preghiera non è solo una semplice invocazione o devozione per chiedere grazie, ma deve cambiare la vita. Pregare vuol dire credere in Dio Padre buono e misericordioso, parlare con lui in piena trasparenza, ringraziarlo delle grazie ricevute, pentirsi dei propri peccati e chiedere la grazia di fare sempre la volontà di Dio espressa nei dieci Comandamenti; e poi, seguire Gesù Cristo, vivere secondo il suo esempio nei Vangeli, ispirarsi nella propria vita alle Beatitudini. Allora la preghiera cambia davvero la vita e dà una forza e una gioia che, nei Santi naturalmente, permette anche di compiere miracoli.
Nel 2001 a Phnom Penh, capitale della Cambogia, ho visitato le suore di Madre Teresa e il lororifugio per bambini disabili per le bombe della guerra o varie malattie. Quando soffrono i bambini, e ne vedete decine tutti assieme, anche se sono amati, curati, coccolati, toccano davvero il cuore di noi adulti. Al termine della visita, alle due suore che mi offrono un caffè esprimo la mia ammirazione per l’esempio che danno, in un Paese non cristiano, di servizio gratuito e amorevole agli ultimi di questo popolo. Mi raccontano qualcosa della loro vita e dicono che fanno quattro ore di preghiera al giorno: «Senza l’ora di adorazione serale a Gesù nell’Eucarestia, non potremmo amare a lungo, come vere mamme, questi poveri e cari bambini».
Nell’intervista di padre Spadaro della Civiltà Cattolica a papa Francesco, alla domanda su come il Papa prega, lui risponde ricordando le preghiere che dice durante la giornata e poi aggiunge: «Ciò che davvero preferisco è l’Adorazione serale, anche quando mi distraggo e penso ad altro o addirittura mi addormento pregando. La sera quindi, tra le sette e le otto, sto davanti al Santissimo per un’ora in adorazione». Francesco non è solo il pastore universale, ma anche il maestro della vita cristiana. Con tutte le cose che deve fare e le decisioni da prendere, ci dà l’esempio: alla sera passa un’ora davanti al Tabernacolo dove c’è Gesù, da cui riceve la forza, la serenità, il coraggio, la lucidità, tutto il necessario alla sua vita.
Nel mondo d’oggi, che impone una vita travolgente di impegni, informazioni, preoccupazioni, divertimenti e distrazioni, attraversiamo tutti, anche noi preti, la crisi della preghiera. Si dice che non abbiamo mai tempo, siamo sempre di corsa. Ripetiamo delle formule, ma il cuore e la mente sono lontani. Se perdiamo il contatto personale con Gesù Cristo e col mondo soprannaturale, ci ritroviamo da soli con le nostre miserie e i nostri limiti. Bisogna dare a Dio il suo tempo, non basta un pensiero affrettato. Pregare vuol dire meditare e commuoversi per l’amore di Dio e per la morte di Gesù Cristo in Croce, per meritare il perdono dei miei peccati!
Pregare è amare Gesù e mettersi nel cammino dell’imitazione di Cristo. San Giovanni della Croce ha scritto che bisogna avere una cella segreta nel nostro cuore, per incontrare Dio e l’amore che Dio ha per me, sempre, anche quando sbaglio e vado fuori strada. È la cella della contemplazione, dell’adorazione, del tempo destinato alla preghiera. È il segreto della vita cristiana, quello che fa vivere meglio, che dà “una marcia in più”. Papa Francesco, ricevendo nel marzo scorso i 60.000 fedeli dei gruppi di preghiera di Padre Pio ha detto: «La preghiera non è una buona pratica per mettersi un po’ di pace nel cuore; e nemmeno un mezzo devoto per ottenere da Dio quel che ci serve… La preghiera è la migliore arma che abbiamo, una chiave che apre il cuore di Dio… che non è blindato da tante porte di sicurezza. È la più grande forza della Chiesa, che non dobbiamo mai lasciare… altrimenti l’evangelizzazione svanisce e la gioia si spegne e il cuore diventa noioso. Voi volete avere un cuore gioioso? Pregate, questa è la ricetta».
Il Venerabile dottor Marcello Candia (1916-1983) era un giovane industriale di fede viva e operosa, lavorava molto per l’azienda ereditata dal padre, ma era anche impegnato in opere di carità per i poveri e di aiuti ai missionari. Negli anni 1949-1950, costruendo il nuovo stabilimento di via Tacito a Milano, Marcello aveva riservato a sé un piccolo angolo vicino al muro di cinta, sul quale non c’erano finestre. Solo una panca e tre alberelli. Marcello diceva: «Questo è il mio rifugio per pregare» e ogni tanto scendeva dal suo ufficio e andava alcuni minuti ne «il mio monastero».
Morì nel 1983 di cancro e dopo cinque infarti e un’operazione al cuore. Aveva speso tutto se stesso e tutti i suoi soldi per i più poveri dell’Amazzonia. Il capo dei lebbrosi nel lebbrosario di Marituba presso Belem, Adalucio, al quale 14 anni dopo la morte di Candia chiedevo come mai ricordavano così tanto Marcello e lo pregavano, mi rispose: «Il dottor Candia non solo ci ha aiutati economicamente e con le opere sanitarie e sociali, ma ci ha voluto bene: in lui vedevamo l’amore di Dio anche per noi lebbrosi, rifiutati da tutti».
Perché gli ospiti del lebbrosario di Marituba considerano Marcello Candia un santo? «Perché faceva tutto per amore di Dio», mi risponde. «Non cercava nulla per sé ma tutto per gli altri, i poveri, gli ammalati, noi hanseniani. Era eroico nella sua donazione al prossimo, commovente: lui ricco, colto e importante nel mondo, veniva a spendere la sua vita tra noi che non potevamo dargli nulla in cambio. E non per un motivo umano, altrimenti non avrebbe resistito, sarebbe rimasto deluso: ma solo per amore di Dio. Noi pensavamo: se lui è un uomo così buono, quanto più buono dev’essere Dio!».
Fonte: LaNuovaBQ.it