Lo racconta la più grandina, 10 anni circa, al passeggero italiano che si accorge di loro. Si chiama Paolo Gentili: «C’erano altri bambini e uno o due adulti, ma non è facile avvicinarli – racconta –. Sono liberi di entrare e uscire, ma i viaggiatori non possono accedere alla zona, una specie di porto franco in cui i bimbi fantasma sono pressoché invisibili. Ho passato a Inaya qualche soldo ed è corsa al fast food a comprare panini per quelli che forse erano fratellini. Di certo Leena è sua sorella, hanno viaggiato insieme dalla Siria. Avrà sui 4 anni».
Difficile immaginare quale dramma può indurre madri e padri a consegnare i propri figli a uomini sconosciuti e pagarli perché li portino via: il mare è il male minore. Forse Leena e Inaya si aggrappavano alle loro braccia, perché è meglio la guerra con mamma e papà che la pace soli al mondo, e dall’abbraccio i genitori si sono sciolti. Certamente le hanno guardate fino all’ultimo, quando le manine sono diventate un punto all’orizzonte. «La mamma ha detto dove aspettarla, arriveranno presto», è fiduciosa la grandina.
Tutte le sere prima di dormire esce dall’aeroporto e va a una metropolitana, dove hanno appuntamento, finora non è arrivato nessuno. «È una situazione che si sta verificando spesso, da quando si è creato questo flusso di migranti dalla Turchia verso la Grecia e poi su per i Balcani», commentano a Istanbul dall’Acnur, l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu, «ma di questo caso non sapevamo ancora nulla e prenderemo subito informazioni».
Due i tipi di emergenze tra i piccoli profughi, spiega Carlotta Sami, portavoce dell’Acnur: «Da una parte i minori non accompagnati, cioè partiti già da soli e con un obiettivo ben preciso», in genere di raggiungere qualche parente in Europa. «Dall’altra i minori separati, che i genitori li hanno persi durante questi viaggi terribili, magari nella calca, o durante i soccorsi in un naufragio. Ci sono storie drammatiche di genitori che non trovano più i figli».
Chissà se quelli delle due sorelle siriane sono già salpati e su quale lido sono arrivati: «Dove siamo?», la domanda dei profughi che toccano terra. L’italiano mostra la foto delle piccole profughe. Sorridono con la scatola di dolci appena ricevuta, «subito dopo Inaya è corsa alla metropolitana, era sera e andava ad aspettare».