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Separati non risposati testimoni della fedeltà

L’incontro si è svolto a Bologna presente dell’arcivescovo Zuppi «Non chiudetevi nella vostra sofferenza. Ciò che avete vissuto sia di aiuto ad altri»

«Il problema importante non è la comunione ai divorziati risposati». Rispondendo ai giornalisti sull’aereo di ritorno da Lesbo, il Papa è stato chiarissimo. Le reali emergenze delle famiglie sono altre. Non solo perché – come ha detto Francesco – ci sono sempre più nuclei in crisi e poi «giovani che non vogliono sposarsi, un calo di natalità in Europa che c’è da piangere, mancanza di lavoro, bambini che crescono da soli». Ma anche, e questo il Papa non l’ha detto esplicitamente, pensare di ridurre l’arcipelago separazione al problema della comunione per le persone in nuova unione, significa ignorare la complessità di un mondo che ha molte più varianti e sfaccettature di quanto si possa immaginare. Nell’Amoris laetitia, al numero 242, si ricordano «le persone divorziate ma non risposate che, spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale». Il Papa le incoraggia «a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato». Ma anche «i pastori devono accompagnare queste persone con sollecitudine, soprattutto quando ci sono figli o è grave la loro situazione di povertà». Il passaggio dell’Esortazione postsinodale ha rappresentato un’ideale icona per l’incontro nazionale dell’associazione Separati fedeli nei giorni scorsi, al Circolo mariano “Padre Kolbe” di Borgonuovo (Bologna).

«La separazione è una ferita più profonda di quello che si possa immaginare. Ma non chiudetevi nella vostra sofferenza, non piangetevi addosso, uscite, perché quello che voi avete vissuto tempo fa può servire a coloro che oggi attraversano la vostra stessa esperienza», ha sollecitato l’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi. «La Chiesa di papa Francesco si aspetta molto da voi come collaboratori dello Spirito per acquisire un nuovo sguardo, secondo la logica del Vangelo che ci invita tutti alla conversione», ha poi spiegato don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia. «Sono convinto – ha proseguito – che chi ha subito su di sé un giudizio pesante, se si è riconciliato con quella rabbia, può diventare più prudente nei giudizi e aiutarci a costruire una Chiesa di misericordia ». Don Gentili ha poi ricordato il Motu proprio sulla verifica della nullità matrimoniale, invitando le persone separate e divorziate a percorrere le loro storie di debolezza, anche «se fa paura e provoca grande sofferenza. Siamo pienamente consapevoli che l’iter la dichiarazione di nullità matrimoniale è un percorso molto faticoso per rientrare nelle pieghe della propria storia. Ecco perché – ha fatto ancora notare il direttore dell’Ufficio famiglia della Cei – non può essere affrontato da soli, ma occorre sentirsi sulle ginocchia della Chiesa, una Chiesa che vuole rivestirsi con l’abito della misericordia». E infine l’auspicio, perché i separati fedeli, «mettendo a frutto il proprio dolore», possano accompagnare chi ha «acquisito una nuova unione».

Una sollecitazione subito accolta dal presidente dell’associazione Separati fedeli, Ernesto Emanuele: «La Chiesa deve starci vicino perché la separazione, rimettendo in discussione tutte le scelte della vita, rappresenta un dolore che non si estingue mai», ha fatto notare. «Da qui il nostro impegno per essere un ospedale da campo aperto alle sofferenze di tutti i separati e divorziati, nessuno escluso». Giocati sul valore del perdono e della misericordia gli interventi degli altri relatori, don Piero Pasquini, fondatore dell’Eremo di Caresto, e don Christian Malanchin, parroco della diocesi di Adria-Rovigo, che da tempo si occupa della spiritualità nella separazione.

Fonte: Avvenire.it

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