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Obiezione all’aborto la scelta che costa

Tre medici spiegano perché hanno deciso di non spezzare gravidanze Pagando di persona

L’ultimo episodio della nuova ondata di ostilità all’obiezione di coscienza all’aborto è l’interrogazione al Governo per «garantire davvero il principio di autodeterminazione e il diritto alla salute delle donne in materia di maternità responsabile, con un intervento immediato sulla situazione creata dal ricorso massiccio all’obiezione di coscienza dei ginecologi e dalla discriminazione dei medici non obiettori». L’iniziativa è firmata dalla senatrice Pd Laura Puppato e da altri 15 colleghi dem (tra loro la vicepresidente di Palazzo Madama Valeria Fedeli e Monica Cirinnà), ma anche di Sel, Ala e del gruppo Misto. Dopo la recente deliberazione del Comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa, che accogliendo un esposto della Cgil ha richiamato l’Italia ritenendo che nel nostro Paese (dove le interruzioni di gravidanza sono quasi 100mila l’anno, su meno di mezzo milione di nascite) abortire sarebbe troppo difficile, gli obiettori sono sotto attacco. Ma chi sono, e perché non praticano aborti? Ecco tre storie eloquenti per sapere di cosa, e di chi, stiamo parlando.

«Ho cambiato idea, chiedo rispetto»

Fino a 34 anni è stata un medico non obiettore convinto. Poi la sua gravidanza l’ha guidata in una scelta opposta. «La mia – tiene a precisare – non è stata una decisione dettata da motivi religiosi: il mio punto di vista è quello laico di donna, madre e medico». A parlare èLetizia Bevilacqua, dirigente dell’unità operativa di Uroginecologia all’ospedale di Senigallia (An). Una valutazione del tutto libera, perché anzi «l’ambiente avrebbe richiesto che continuassi, e invece no, non potevo più: perché è giusto cambiare idea, e il matrimonio, il mio divenire madre ha modificato tutta la prospettiva. Mi ha dato fiducia nel mondo e nella vita e poi c’era l’esempio che volevo dare a mia figlia che ora si sta specializzandosi proprio in ginecologia ». Nelle sue parole c’è il rispetto per la libertà di ciascuno e la coerenza del proprio percorso professionale. «Non rinnego la 194 – dice –: la sua finalità era la maternità responsabile, non voglio convincere chi non la pensa come me perché la mia è semplicemente una testimonianza che però si muove su quel sacro terreno civile della coscienza individuale. Ho deciso che non mi sarei più occupata di aborti perché avrei contraddetto la mia legge interna». Ed è proprio il concetto di libertà l’ago della bilancia della questione. Secondo la dottoressa Bevilacqua la libertà di chi decide per interrompere la gravidanza infatti deve fermarsi davanti alla libertà di coscienza del medico. «L’obiezione – dice – non è solo un principio etico a sfondo religioso ma è un valore universale. Dal mio punto di vista rispetto e non condanno nessuno ma esigo il medesimo rispetto verso la mia scelta se non voglio ren-dermi responsabile di un aborto».

Roberto Mazzoli

«Decisione credibile se lo è la vita»

«I dati dimostrano che non c’è nessuna emergenza. Il numero di medici non obiettori in Italia è congruo rispetto alle esigenze ». A ribadirlo è il ginecologo Mario Campanella, medico in ospedali e consultori pubblici e per anni presidente della Confederazione italiana dei centri di regolazione naturale della fertilità. «Credo sia strumentale imputare la responsabilità di alcuni disservizi a chi ha fatto la scelta di non praticare aborti. Se ci sono difficoltà a livello locale spetta a chi organizza il servizio sanitario cercare di superarle attraverso opportuni accorgimenti logistici». Le criticità non sono generalizzate, così come non esiste un rapporto teso tra medici obiettori e non: «Ho fatto la mia scelta sin dal primo giorno di lavoro. Avevo studiato medicina per servire la vita, e come ginecologo mi sento ancor più in dovere di difendere la vita nascente. Non ho mai sentito alcun astio, però, da parte dei colleghi che hanno altre idee. Certo, se ne discute spesso perché l’argomento è importante». Il tema è molto sentito anche per via del contesto multietnico dei consultori, dove si viene in contatto con diverse concezioni della vita e della sessualità. Il medico obiettore, allora, «risulta credibile quando è coerente in tutta la sua attività, permeando il lavoro dei propri valori ». In fondo, ricorda Campanella, «è la stessa legge 194 che chiede a medici e strutture di contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzionedellagravidanza».

Danilo Poggio

«Faccio nascere, non il contrario»

«La mia decisione di non praticare aborti deriva da considerazioni morali, mediche e biologiche». Salvatore Felislavora come ginecologo all’ospedale San Martino di Genova. Dopo la laurea, arriva la specializzazione in ginecologia e la scelta di non praticare aborti. «Non ho mai partecipato ad aborti ma non mi sono mai tirato indietro nel curare pazienti che presentavano complicanze dovute a pratiche abortive. Né in Italia né in Africa, dove sono stato tante volte, e dove, nonostante l’aborto sia illegale in molti Paesi, ho curato tante pazienti che presentavano evidenti complicanze dovute ad aborti». Come esiste uncontinuum tra un bambino di pochi mesi e un adulto di 20, 40 o 60 anni – argomenta Felis – così c’è una evidente continuità anche tra un embrione di poche cellule e il bambino appena nato in braccio alla madre: «Non è possibile interrompere un progetto di vita – spiega – senza pensare al bambino che potrà diventare». Il medico genovese è uno che paga di persona: la sua scelta gli sta costando un procedimento penale che lo vede imputato con l’accusa di non aver effettuato due anni fa un’ecografia a due ragazze che avevano assunto la pillola abortiva. Per l’accusa l’ecografia non sarebbe un atto abortivo ma assistenziale, per Felis invece, in caso di aborto farmacologico, la procedura risulterebbe unitaria e indistinguibile. L’udienza entrerà nel vivo il prossimo giugno quando deporranno i due primari dell’ospedale. Felis è sereno: «Il mio compito è di far nascere i bambini, non il contrario».

Fonte: Avvenire

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