Poligamia, ripudio, sterilità, vedovanza femminili…: come il cristianesimo ha mutato la visione della donna, e la sua vita
Una delle grandi novità storicamente rilevabili apportate dal cristianesimo riguarda la concezione della donna. Assolutamente secondaria e marginale, relegata nelle sue stanze, nel mondo greco; sotto perpetua tutela dell’uomo, padre e marito, quasi un oggetto, nel mondo romano; ostaggio della forza maschile, presso i popoli germanici; passibile di ripudio e giuridicamente inferiore nel mondo ebraico; vittima di infiniti abusi e violenze, compreso l’infanticidio, in Cina e India; forma inferiore di reincarnazione nell’induismo tradizionale; sottoposta alla poligamia, umiliante affermazione della sua inferiorità, nel mondo islamico e animista; vittima presso diverse culture di vere e proprie mutilazioni fisiche; sottoposta al ripudio del maschio, in tutte le culture antiche, la donna diventa col cristianesimo creatura di Dio, al pari dell’uomo.
Visione teologica
Scrive il filosofo e teologo Tommaso Pevarello:
Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse” (Genesi, 1, 27). Dio, dopo aver creato il mondo visibile, decide di popolarlo con l’essere più degno: l’uomo. Il termine “uomo” ha un significato collettivo, cioè si intende ogni essere umano, il quale si divide nei generi femminile e maschile. Questo dato ci deve colpire: la differenza maschile e femminile non viene data in opposizione, bensì in armonia con il fatto che entrambi sono parte dell’unità dell’essere umano. Quindi l’essere vivente si dà in definitiva come “unità dei due”: l’uguaglianza sta nell’essere entrambi “esseri umani”, la differenza sta nel genere maschile e femminile, dato che, come scrisse Edith Stein: “Non solo il corpo è strutturato in maniera diversa, non solo sono differenti alcune funzioni fisiologiche, ma tutta la vita del corpo è diversa; di conseguenza anche il rapporto tra anima e corpo è differente”. Se procediamo nel testo biblico, la creazione dell’essere umano si accompagna al comandamento di Dio: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela”. Dio affida solo all’uomo e alla donna il “dominio” della terra, dato che solo loro possiedono quella razionalità, quel Logos, frutto della somiglianza con Dio. Ma c’è molto di più: Dio indica loro la capacità di generare, e dunque la sessualità, come un valore da assumere in modo responsabile davanti a Dio, partecipando al progetto creativo divino e permettendone, in un certo senso, la continuazione. “Allora il Signore plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”; così è descritta la nascita di Adamo (ricordo che Adamo deriva da “adam”, che significa l’uomo in generale). Questi versi sono importanti non tanto per il fatto che l’uomo appartiene alla terra, dato che questa caratteristica è propria anche di molti animali, bensì la peculiarità sta nel fatto che egli riceve la vita da Dio con un “soffio”: anche se l’uomo con la sua corporeità è partecipe della materia, ha l’anima/spirito che non proviene dalla terra ma da Dio e che gli fa acquisire il gradino più alto all’interno della creazione.
“Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”.
Emerge qui un dato significativo: l’uomo, pur in mezzo agli altri animali, si sente solo e Dio interviene per fargli superare quella solitudine che “non era cosa buona” e per farlo deve servirsi di un qualcosa che gli sia simile; ritorna il concetto fondamentale dell’antropologia cristiana che vede l’essere umano come “unità dei due”. L’uomo, così come la donna, non esistono “da soli” ma acquisiscono un senso ed una pienezza solo se si pongono “in relazione”… Così termina la parte iniziale del Genesi sulla formazione dell’uomo e della donna. Si può concludere, quindi, che l’uomo e la donna sono le uniche creature del mondo visibile che Dio ha voluto per se stesso, che ha voluto rendere “persone”, la cui realizzazione o meglio, il cui “ritrovarsi”, passa attraverso l’esperienza dell’amore e il dono sincero di sé.
Per quanto riguarda la donna, il suo essere dono per gli altri, necessita di due esperienze a lei peculiari su cui si giocherà la propria realizzazione, la propria vocazione: la verginità e la maternità.
Queste dimensioni non possono trovare modello più perfetto della “donna di Nazareth”: Maria, ‘vergine e madre’ ”.
Una donna che diviene degna di portare nel suo grembo Dio stesso! Quale importanza più grande poteva riconoscere il cristianesimo al genere femminile!
Prosegue Pevarello: “L’atteggiamento di Gesù con le donne è molto semplice e forse proprio per questo, in quei tempi, rivoluzionario. “Si meravigliavano che stesse a discorrere con una donna”, e a meravigliarsi non vi erano solo gli scribi, ma gli stessi apostoli! Egli, davanti agli ebrei che rivendicavano il “diritto maschile” di ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo, li ammonì di ritornare al “principio”, quando questo non era consentito, quando cioè l’uomo e la donna ancora si amavano con purezza, essendo ad immagine e somiglianza di Dio.
In questo caso Gesù interviene per spazzare via una “tradizione” che si era affermata ma che era contraria alla volontà divina, che in origine non voleva che il maschio dominasse, ma che stabiliva un’uguaglianza tra i due in una sola carne.
Scorrendo le altre parti del Vangelo si incontrano numerose donne: l’emorroissa che toccando il mantello di Gesù, nonostante sia in mezzo alla folla, è da lui “sentita” e lodata per la grande fede: “La tua fede ti ha salvata”; la figlia di Giairo, che Gesù fa tornare in vita; la vedova di Nain, cui fa ritornare in vita l’unico figlio e cui rivolge l’affettuoso invito: “Non piangere”. E gli esempi potrebbero continuare, con la Cananea o con il racconto dell’obolo della vedova, in cui Egli la difende contro il sistema giuridico del tempo. Fatto sta che sempre il Figlio di Dio ha per la donna rispetto e compassione.
Pensiamo ancora a quelle categorie che erano pubblicamente disprezzate dal sentire comune del tempo: prostitute, adultere, peccatrici. Anche a loro Gesù porta la sua parola d’amore in grado di cambiare la vita. Alla Samaritana dice: “Infatti hai avuto cinque mariti, e quello che hai ora non è tuo marito”, dimostrando così di sapere i segreti della sua vita e in questo modo ella lo riconosce come il Messia e va a testimoniarlo ai suoi compaesani.
Alla pubblica peccatrice che gli lava con olio i piedi, facendo scandalizzare il padrone di casa fariseo, Gesù dice: “Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato”.
Infine il famosissimo episodio della donna sorpresa in adulterio e portata da Gesù per metterlo alla prova: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei”. Questa risposta è così splendida che sorprende tutti, provocando la consapevolezza dei loro peccati, dato che il peccato della donna era anche la conferma delle loro trasgressioni; è così che alla fine rimangono solo Gesù e la donna, la quale viene invitata a non peccare più.
Marta, sorella di Lazzaro, vede il fratello risorgere dopo aver professato la fede in Gesù: “Sì, o Signore, credo che tu sei il Cristo, Figlio di Dio”.
Saranno ancora le donne ad accompagnare Gesù verso il Golgota e che gli faranno dire: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me”, dimostrando ancora una volta un modo di rapportarsi con il genere femminile che costituisce un’assoluta novità. Ma saranno sempre donne le prime testimoni della Sua resurrezione, con Maria di Magdala incaricata di andare ad avvertire gli apostoli dell’incredibile avvenimento.
Aspetti storici
Il matrimonio monogamico e indissolubile
Quali saranno le conseguenze, storicamente parlando, di questa nuova concezione?
Basterebbe indicarne tre. La prima: il cristianesimo è l’unica religione della storia in cui il rito di iniziazione e quindi di ammissione alla comunità, cioè il battesimo, è uguale per uomini e donne. La seconda: il cristianesimo, condannando l’eposizione dei bambini e l’infanticidio, limita drasticamente una pratica molto diffusa in tutto il mondo, dall’antica Roma alla Cina e all’India di oggi, e avente più spesso come vittime le bambine femmine (vedi capitolo successivo).
La terza: il matrimonio cristiano è imprescindibilmente monogamico e indissolubile. Esso quindi sottintende anzitutto la pari dignità degli sposi: non è lecito ad un uomo avere più mogli, nel suo gineceo, o nel suo harem! Non è lecito, in virtù della sua maggior forza, ripudiare la moglie, come un oggetto, né sostituirla con delle schiave! E neppure, ovviamente, il contrario.
Ripudio islamico
Tutta la storia della Chiesa, per quanto riguarda la morale coniugale, tende a salvare proprio questa pari dignità: vietando ovviamente ogni diritto di vita o di morte dell’uomo sulla donna; tutelando il più possibile il libero consenso degli sposi; innalzando l’età del matrimonio della donna (che per i romani erano sovente i 12 anni); togliendo ai genitori la possibilità di violare la libertà dei figli, e in particolare ai padri di decidere il marito della figlia; combattendo l’abitudine dei matrimoni combinati, soprattutto tra i nobili; contrastando in ogni modo i matrimoni forzati, in cui solitamente era la donna a fungere da vittima; impedendo, in questo caso a tutela della salute dei figli, i matrimoni tra consanguinei…
Sterilità, adulterio e vedovanza
Per capire quanto il matrimonio cristiano muti la condizione femminile basti considerare l’atteggiamento nuovo proposto dalla Chiesa dinanzi alla sterilità della donna, all’infedeltà del maschio o alla vedovanza. Tradizionalmente, nel primo caso, in tutte le culture antiche, l’infertilità di coppia veniva addossata alla moglie e giustificava il ripudio o il ricorso del marito ad altre donne, per ottenere il figlio desiderato. Si pensi ad esempio che le donne romane dovevano mettere al mondo almeno tre figli “per poter un giorno, alla morte del padre, essere libere da ogni tipo di tutela sui beni”.
Ancora nel Settecento intellettuali laici come l’illuminista Diderot considereranno le donne sterili degne di essere allontanate dal consorzio civile. Nel cristianesimo, invece, “è l’accordo di coppia che costituisce l’essenza del matrimonio e non la fecondità: in esso, infatti, non è più motivo di separazione la sterilità, che nelle società antiche era vissuta sempre come malattia femminile”. In altre parole: un cattolico che si sia sposato e scopra che la moglie non riesce a concepire, non ha mai il diritto di ripudiare o abbandonare la propria consorte, che dunque non perde affatto nulla della sua dignità anche se non può divenire madre (sterilitas matrimonium nec dirimit nec impedit).
Quanto infine alla vedovanza si è visto che i primi cristiani fecero il possibile per riconoscere alle vedove la loro dignità, senza imporre loro di porsi immediatamente sotto il dominio di un nuovo marito, come invece volevano le leggi di Augusto. Per fare questo venivano in aiuto anche economico a quelle di loro che avessero voluto rimanere tali. Così a Roma, nel 251, il vescovo Cornelio assiste millecinquecente vedove e poveri della città, in ossequio all’insegnamento di san Giacomo apostolo: “Religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni” (Gc. 1, 27).
Le donne in India
Donne celebri del cristianesimo
Torniamo dunque alla nuova concezione della donna introdotta dal cristianesimo. Quante sono le donne importanti dell’antichità, non solo romana, di cui si conserva il nome? Si contano sulle dita delle mani… e sovente sono ricordate più per la loro condizione di etere e di prostitute d’alto bordo, che per altri motivi. I primi tempi del cristianesimo invece pullulano già di donne protagoniste: le sante martiri, di cui tutti conoscono il nome, a cui vengono dedicate intere chiese e che vengono invocate e venerate nella preghiera: Tecla, Agata, Agnese, Cecilia, Lucia, Caterina, Margherita, la schiava Blandina…; santa Elena (nella foto), la madre e la consigliera principale di Costantino; Santa Monica, l’amatissima mamma di Agostino, alle cui preghiera il santo attribuì la propria salvezza; Marcia, la concubina dell’imperatore Commodo che riuscì a convincerlo a liberare Callisto, futuro papa, che era destinato ai lavori forzati in Sardegna; poi le imperatrici Pulcheria, figlia dell’imperatore Arcadio, infaticabile promotrice della costruzione di chiese, di cui ben tre dedicate alla Madonna, di ospedali e ospizi per i pellegrini, che ebbe una parte importante nella vittoria antimonofisita del concilio di Calcedonia del 451, morta nel 453 lasciando i suoi beni ai poveri; l’imperatrice Eudoxia, che fa trasferire le reliquie di santo Stefano a Gerusalemme, fa costruire un palazzo episcopale, e ricoveri per i pellegrini…
“Al pari dell’uomo, scrive Teodoreto di Cyr, la donna è dotata di ragione, capace di comprendere, e conscia del proprio dovere; come lui essa sa ciò che deve evitare e ciò che deve ricercare; può darsi talvolta che essa giudichi meglio dell’uomo ciò che può riuscire utile e che essa sia una buona consigliera”. Così per Clemente Alessandrino le donne possono dedicarsi allo studio esattamente come gli uomini. Come fanno appunto molte delle donne che scelgono la vita claustrale e la verginità. Anche questa scelta della verginità, a ben pensarci, ha una valenza storica che spesso viene dimenticata. Significa infatti che una donna può dedicare la sua vita a Dio, invece che ad un uomo; che può decidere della sua vita al di fuori di quel rapporto di dipendenza che nella società antica era ineludibile. Nell’ antichità greca e romana, infatti, come d’altra parte nel mondo ebraico le donne erano destinate solo ed esclusivamente al matrimonio e alla maternità, nel senso che “sono pochissime, prima del cristianesimo, le testimonianze di donne rimaste nubili. Le donne non sceglievano nemmeno l’età in cui essere maritate. Il consenso della sposa non compariva nei contratti stipulati tra il padre della ragazza e il futuro marito”. Le donne nubili insomma erano piuttosto inconcepibili e si vedevano private di molti, dei già scarsi diritti previsti per loro.
Donne sono anche alcune delle figure più importanti del cristianesimo dei primi secoli: le numerose aristocratiche romane che convertono i loro mariti; Clotilde, la moglie burgunda di Clodoveo, re dei Franchi, che lo spinge al cattolicesimo nel 496, segnando una svolta nella storia del suo popolo; Genoveffa, la monaca di Parigi che rassicura e incoraggia la popolazione di Parigi minacciata da Attila; la bavara Teodolinda, regina longobarda in Italia, che converte al cattolicesimo suo figlio Adaloaldo; la cattolica Teodosia, che sposa nel 573 il duca di Toledo, Leovigildo, convertendolo alla propria fede; Berta di Kent, che nel 597 ottiene che il re Etelberto si faccia battezzare; la moglie di Edvino re di Northumbria, che lo convince ad abbracciare la fede cattolica; Olga, principessa di Kiev, la prima battezzata di Russia; Edvige di Polonia, artefice della conversione dei Paesi Baltici… “Dappertutto, nota la storica Régine Pernoud, si constata il legame tra la donna e il Vangelo se si seguono, tappa dopo tappa, gli avvenimenti e i popoli nella loro vita concreta”. La Pernoud cita poi Jean Duché: “Il mistero della Trinità ha dunque un fascino sulle donne? …In Spagna come in Italia, come in Gallia, come in Inghilterra, ci voleva una regina per introdurre il cattolicesimo”.
E’ sempre una donna, Fabiola (morta nel 399), ricca e nobile aristocratica della stirpe dei Fabii, che una volta vedova prima segue san Girolamo, dedicandosi allo studio delle Scritture, e poi fonda il primo ospedale romano e uno dei primi luoghi di assistenza per pellegrini e stranieri, ad Ostia. Come Fabiola, anche la ricchissima Melania dedica la sua vita di convertita alle opere di bene: nel V secolo fonda monasteri, riscatta prigionieri, emancipa migliaia di schiavi e regala loro beni e ricchezze. Analogamente Olimpia, rimasta vedova nel 386 del prefetto di Roma Nebridio, pur essendo incalzata a sposarsi dall’imperatore Teodosio, rifiuta il nuovo matrimonio e dona parte dei suoi averi ai poveri di Costantinopoli, alla Chiesa beni fondiari e denaro, e accoglie nelle sue proprietà vedove ed orfani, vecchi, poveri e derelitti…
Sono in verità innumerevoli, all’inizio e nel corso dei secoli, le donne cristiane, nobili, nubili, sposate o vedove, che dimostrano la loro generosità verso la Chiesa, i chierici, i poveri, fondando monasteri, ordini religiosi, chiese, ospedali, scuole…. Per questo un avversario dei cristiani come Porfirio li accusa proprio di “persuadere le donne a dissipare la loro fortuna e i loro beni tra i poveri”, e di lasciare troppo spazio alle sciocche chiacchiere di “donnicciuole”.
Nel Medioevo si possono citare, almeno, santa Caterina da Siena, ascolta dai papi, che prendeva la parola anche nei concistori, Giovanna D’Arco, la donna all’origine della Francia moderna, e Isabella di Castiglia, che può ben essere considerata la madre della Spagna moderna…
Certamente anche dopo la conversione dell’Europa al cristianesimo ci saranno cristiani poco “accorti” che continuarono ad esprimere giudizi misogini, come quelli di Celso e Porfirio, incapaci di cogliere la complementarietà tra uomo e donna prevista dal Creatore.
Ma molto peggio accadrà nell’epoca del positivismo materialista e ateizzante dell’Ottocento, allorchè si assisterà alla diffusione da cattedre importantissime di tesi misogine presentate come verità scientifiche. Si pensi alla craniometria di Paul Broca, che facendo coincidere la superiorità intellettuale col volume cerebrale, identificava l’uomo bianco maschio come superiore, i vecchi, le donne e le altre razze come inferiori. Oppure a quanto scriveva Charles Darwin – oltre un secolo dopo che la Chiesa, con Benedetto XIV aveva favorito la presenza di professoresse donne all’Università (Laura Bassi, prima professoressa universitaria della storia, Maria Gaetana Agnesi…) – esprimendo un pensiero diffuso nel mondo positivista di quegli anni: “Si crede generalmente che la donna superi l’uomo nell’imitazione, nel rapido apprendimento e forse nell’intuizione, ma almeno alcune di tali facoltà sono caratteristiche delle razze inferiori e quindi di un più basso e ormai tramontato grado di civiltà. La distinzione principale nei poteri mentali dei due sessi è costituita dal fatto che l’uomo giunge più avanti della donna, qualunque azione intraprenda, sia che essa richieda un pensiero profondo, o ragione, immaginazione, o semplicemente l’uso delle mani e dei sensi…In questo modo alla fine l’uomo è divenuto superiore alla donna“.
Si pensi, infine, all’opera di Cesare Lombroso, il celeberrimo “scienziato” socialista che nel suo “La donna delinquente, la prostituta e la donna normale”, pubblicato nel 1893 con grande successo internazionale, spiegava che la donna è in tutto inferiore all’uomo, menzognera, stupida e cattiva, che “ha molti caratteri che l’ avvicinano al selvaggio, al fanciullo, e quindi al criminale: irosità, vendetta, gelosia, vanità”, e che “nella mente e nel corpo la donna è un uomo arrestato nel suo sviluppo”.
Tratto da: F.Agnoli, Indagine sul cristianesimo, cap. I cristiani e le donne, La Fontana di Siloe, Torino, 2014.
Vedi anche: http://www.storiaechiesa.it/contributo-dei-missionari-ai-diritti-umani-india/
Note:
Fonte: Storia e Chiesa
1 Comment
Bergoglio deve dichiarare di essere massone – Blog di cecchinospadaccino