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Filosofi a un bivio, ora rialziamo lo sguardo

Bisogna prenderne atto: la filosofia moderna si è conclusa da un pezzo. Sul campo sono rimaste le sue ceneri: un diffuso scetticismo e un indebolimento della ragione. È forte la tesi dell’ultimo saggio di Vittorio Possenti, Il realismo e la fine della filosofia moderna (Armando, pp. 288, euro 24), un volume che traccia un approccio controcorrente rispetto alla cultura dominante, per rinnovare il pensiero e condurlo dal nichilismo alla metafisica. Classe 1938, decano della filosofia morale e politica, autore di oltre 30 volumi, membro per molti anni del Comitato nazionale per la Bioetica, Possenti sente che non può essere taciuta l’essenza stessa di una disciplina così connaturata al cuore dell’uomo: «I bambini non lo sanno, ma a modo loro sono già filosofi. Lo vedo anche con i miei nipotini. Essi già dalla prima infanzia si interrogano sulle cose e bombardano gli adulti con infiniti “perché?”».

La sua idea “scandalosa” è che la filosofia moderna ormai sia arrivata al capolinea. Perché?
«Bisogna attraversare la filosofia moderna per vederne l’equivoco: esso consiste nel ritenere l’essere e l’esistenza come qualcosa di secondario e non la sorgente stessa del filosofare. Oltre al cammino senza uscita rappresentato da Nietzsche e dal suo annuncio del nichilismo, sono da tempo chiuse le due principali direttrici del moderno: quella che va da Cartesio a Kant, incagliata nel dualismo insuperabile tra pensiero ed essere per cui la mente non raggiunge mai il reale concreto, e la linea Hegel-Gentile, portatrice dell’ingannevole verbo della dialettica, secondo cui sarebbe possibile mediante una mera concatenazione logica di concetti toccare l’esistenza reale. Anche Severino e in una certa misura Bontadini sono incorsi in tale equivoco che porta presto o tardi fuori strada».

Ci sono filosofie che non rientrano nel quadro moderno?
«Due scuole si sono sottratte alla chiusura del ciclo moderno: la filosofia dell’essere di tradizione realista e tomista e la fenomenologia realistica. Maritain è stato il maggior araldo della fine del pensiero moderno che può ritenersi concluso ottant’anni fa. Il recente New Realism americano riscopre in parte la lezione classica. Nel realismo incontriamo una ragione aperta all’evento, all’imprevisto, al dono, al movimento. Tutto il contrario di un pensiero meramente logico che rinchiude in una gabbia e che presume di generare a priori il reale. Un pensiero ancorato all’esistenza riapre il cammino verso l’Assoluto: in merito non si può dimenticare l’esito ateo di una parte consistente della filosofia moderna. Pur considerando le vie nuove da essa aperte, non è una colpa ma una necessità oltrepassarla».

Perché invece non verrà mai meno la filosofia?
«Anche la filosofia ha i suoi scribi e i suoi farisei che vorrebbero decretarne la morte, ma si tratta di un’illusione. La filosofia è indispensabile perché l’uomo non può non porsi molteplici domande sulla verità, il bene, la libertà, la giustizia, la morte. La filosofia aiuta a capire e può essere una luce di conforto. Se qualcosa è buono e vero è anche divino».

Ma a che cosa serve la filosofia?
«L’obiezione tante volte ripetuta, emergente dal mondo degli uomini “pratici” e dediti agli affari, è che la filosofia non “serve” a nulla. Questo è vero: propriamente parlando, la filosofia non serve a nulla. Infatti appartiene ad una sfera che è al di sopra dell’utile, al quale soltanto si applica la categoria del servire o del non servire. La filosofia non serve, perché appartiene all’ordine dei fini, non dei mezzi. Ha un ruolo imprescindibile perché ha a che fare con quanto riguarda il vero, il bene, il bello. Da questo punto di vista è un’inutile necessità. Anche perché senza possedere strumenti critici i cittadini rischiano di essere manipolati dai potenti e dagli opinionisti di turno. Una filosofia aperta conduce oltre la cultura monodimensionale in cui siamo immersi».

Nel libro ribadisce come accanto al relativismo sia oggi in realtà dominante una posizione assolutista per cui la verità ci viene solo dalla scienza.
«Una decina di anni fa J. Ratzinger parlò di dittatura del relativismo. Se ci si riferisce all’etica è vero: effettivamente molti sostengono un completo politeismo dei valori, ciascuno sceglie quelli che al momento preferisce. Ma se passiamo dal campo morale a quello teoretico troviamo una posizione assolutista e tutt’altro che relativista: la dittatura dello scientismo per cui ogni conoscenza proviene solo dalla scienza che presto o tardi metterà fuori gioco la filosofia. È il postulato inaccettabile di ogni antico e nuovo positivismo, oggi quanto mai diffuso».

È la stessa visione che oggi tocca questioni eticamente sensibili nel campo biopolitico: dall’aborto all’eutanasia…
«Nell’antropologia la posizione dominante in Occidente è il materialismo e il naturalismo: l’essere umano è solo materia con un più alto grado di evoluzione. Vi è urgente bisogno di una verità integra sulla persona umana. La questione è particolarmente acuta in quanto ciascuno di noi è in gioco con tutto se stesso, è imbarcato, come direbbe Pascal. Pensiamo all’importanza di temi quali la vita, la malattia, la morte. Non è la morte diventata un argomento osceno, di cui non si vuole parlare? Eppure già per Platone la filosofia era una praeparatio e meditatio mortis. La rimozione della morte è allora uno stratagemma che ad un certo momento si disfa lasciandoci indifesi dinanzi alla nostra fine».

Lei auspica un rinnovamento della filosofia che deve necessariamente tener conto della metafisica.
«A me pare che la filosofia contemporanea, inclusa quella italiana, sia accomunata da un secco no alla metafisica, la quale invece incammina l’uomo verso la conoscenza di quanto conta di più: i principi e i fini. Abbastanza diffuso è tuttora l’assunto che la verità sia violenta: una posizione da cui non ci si può attendere niente di buono. Una verità stabile che non muta secondo le mode e le stagioni, è per ogni essere umano una grande benedizione: la verità protegge la vita ed una verità stabile la protegge stabilmente».

La filosofia non può fare a meno della verità. Ma che cos’è la verità e come ci si può arrivare?
«Verità è dire come stanno le cose, dalle più semplici alle più ardue, e tutta la nostra vita è coinvolta in tale ricerca. Noi non scegliamo di cercare la verità, ma siamo originariamente e già sempre aperti ad essa con tutto il nostro essere. Nessuno vuole essere ingannato e conoscere il falso, mentre tutti desiderano conoscere il vero. Aristotele ha iniziato la sua Metafisica con queste parole: “Tutti gli uomini sono protesi per natura alla conoscenza”. Aggiungerei un motivo antropologico: l’uomo filosofa per essere felice, perché solo la verità lo rende tale. La felicità scaturisce nell’atto stesso del raggiungimento della verità. Il pensare aperto predispone a stupirci dinanzi alla realtà e all’esistenza. La tecnica oggi spegne le domande, ma lo stupore è la chiave della felicità».

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