Il problema della supposta inesistenza della teoria del gender – da alcuni presentata come allucinazione cattolica – lei non se l’è neppure posto. O, meglio, lo ha fatto, ma diverso tempo fa; ritrovandosi, poi, talmente tanto materiale da poterci redigere una tesi di laurea. Elena Lauletta, ventiquattrenne di San Giuliano del Sannio, un piccolo paesino in provincia di Campobasso, si è infatti laureata all’Università degli Studi del Molise in Scienze della formazione primaria con un elaborato dal titolo inequivocabile: “Scuola, educazione sessuale e prospettive legislative: la teoria gender e le nuove frontiere“. Ora impegnata, come primo incarico, come insegnante di sostegno in un istituto scolastico un po’ lontano da casa e col sogno di continuare a lavorare a scuola, la coraggiosa neolaureata ha accettato di rispondere a qualche nostra domanda.
Dottoressa, anzitutto una curiosità: come le è saltato in mente di laurearsi con una tesi sulla teoria gender? Non ha considerato i possibili rischi che un tema così spinoso avrebbe potuto farle correre? «Nel 2013 mi sono trovata a discutere con un’attivista LGBT a proposito delle Linee guida per l’educazione sessuale in Europa (redatte dall’associazione di sessuologi “BZgA – Federal Centre for Health Education” di Colonia per conto dell’OMS). Un anno dopo stavo per scegliere l’argomento della mia ultima tesi di laurea e avrei voluto seguire la mia vecchia passione per l’entomologia, tuttavia da una parte la mole delle notizie e degli studi riguardanti la teoria gender e l’educazione sessuale olistica mi spingevano a continuare ad approfondire, dall’altra mi accorgevo che riguardo a queste tematiche c’era una grande disinformazione, soprattutto tra i colleghi e gli educatori di vario tipo. La chiamata era forte, non ho potuto non ascoltarla, nonostante le critiche siano state molte. Grazie a Dio ho avuto il coraggio di raccogliere questa sfida ed ho incontrato l’appoggio e la fiducia del mio relatore, il Professor Fabio Calandrella. La cosa peggiore è stata scoprire i forti pregiudizi che una parte dell’opinione pubblica ha verso i cristiani e verso chi difende la famiglia e i bambini. Tutto questo purtroppo può trasformarsi in insulti e diffamazione, ma ho anche avuto la fortuna di vivere confronti civili e preziosi con persone che hanno un’opinione diametralmente opposta alla mia».
Venendo al suo elaborato, anche se le sembrerà una domanda superflua: la teoria del gender esiste, ha dei fondatori? E che cosa afferma esattamente? «La teoria gender è nata negli anni Cinquanta e da pensiero filosofico è passata oggi giorno ad essere proposta politica. Come fondatori potremmo individuare l’entomologo Alfred Kinsey (1894-1956), autore della Relazione sul comportamento sessuale degli americani, e il sessuologo John Money (1921-2006), discepolo di Kinsey. Entrambi accaniti sostenitori della pedofilia. Money elaborò una teoria secondo cui il sesso biologico di nascita non conta, ma ogni bambino può essere cresciuto indifferentemente come maschio o femmina. I suoi studi vennero ampiamente smentiti dal tragico caso di Bruce, bambino da lui fatto crescere come una bambina, che morì suicida. Nel 1960 circa questi primi studi si innestarono sul secondo femminismo radicale, che già individuava come un limite le differenze biologiche tra uomo e donna. Ad esempio Judith Butler teorizzò il sesso fluido o queer: l’unico modo che l’uomo ha per essere davvero libero di autodeterminarsi sarebbe quello di riservarsi una continua e autonoma ridefinizione della propria identità sessuale. Altre tappe fondamentali sono quelle dei Gay and Lesbian Studies, fino ad arrivare ai 58 generi diversi tra i quali si può scegliere all’atto dell’iscrizione sul Facebook americano o ai 23 generi ufficialmente riconosciuti dall’Australian human rights commission. Inoltre esistono centri come il Nordic Gender Institute, nato a sostegno dell’ideologia di genere, sapientemente criticato dal documentario girato dal comico norvegese Harald Meldal Eia».
Che legame c’è fra la lotta alla cosiddetta discriminazione di genere e l’educazione sessuale scolastica? Non dovrebbero, comunque la si pensi, essere cose ben distinte oppure una implica l’altra? «Le due cose vengono a coincidere quando si parla di educazione sessuale olistica (quella degli Standard BZgA-OMS) che fornisce a bambini e ragazzi informazioni dettagliate su tutti gli aspetti della sessualità, sostenendo che il bambino deve essere visto come una “persona indipendente” che deve poter esprimere la propria sensualità. Lascio immaginare la pericolosità di questa particolare concezione della sessualità infantile. Cosa accadrebbe se ad esempio un bambino di quell’età dovesse decidere da solo con cosa nutrirsi e quando, quale attività ludica o fisica svolgere, quando e come praticare l’igiene del corpo e via dicendo? È significativo il fatto che, in nome di documenti e leggi a tutela delle donne, contro la violenza sulle medesime e per la parità tra i sessi, poi vengono introdotte iniziative e progetti sulla decostruzione degli stereotipi che riguardano l’orientamento sessuale, come il DDL Fedeli e l’emendamento n. 16 alla Buona Scuola. Per capire la pericolosità di questo emendamento bisogna andare a leggere i riferimenti legislativi indicati in esso, tenendo conto che parlare di lotta alla discriminazione in ordine all’orientamento sessuale ha già portato a dei tristi episodi avvenuti nelle scuole italiane, come l’introduzione di un romanzo porno-gay in un liceo di Roma o come l’asilo, sempre romano, in cui sono state abolite le feste del papà e della mamma perché fonte di discriminazione o ancora i libretti dell’UNAR distribuiti nelle scuole all’insaputa del MIUR. È preoccupante questa intromissione nell’educazione dei bambini e nelle scuole sia estere che italiane. Tutto lascia credere che l’urgenza riguardi la violenza sulle donne, eppure grandi forze vengono dispiegate per combattere preconcetti sull’orientamento sessuale. Si dimentica che quest’ultimo caratterizza un uomo o una donna solo in quanto tali e che, perciò, la distinzione tra i sessi resta primaria nell’identificazione di un individuo sia a norma di legge sia ai fini biologici. Anche in base ai dati OSCAD le due problematiche a confronto non reggono (in tre anni le discriminazioni per orientamento sessuale risultano il 27% del totale). Durante i mesi di lavoro per la tesi ho ideato e realizzato un progetto didattico di educazione sessuale dal titolo “Uguali ma diversi” in una quinta della scuola primaria. Nel corso delle attività è emersa con facilità la naturalezza con cui i bambini individuano le differenze tra maschio e femmina, avendo la certezza che esse non si pongono ad ostacolo perché ad esempio una donna possa diventare medico, informatico o meccanico».
Se le cose stanno così, perché tanti negano l’esistenza della teoria del gender, affermando che al massimo esistono i Gender Studies, che sarebbero ben altra cosa? «La maggior parte delle persone che negano l’esistenza del gender non sono informate a riguardo ma vengono spinte dalla propaganda anti-cattolica, non sapendo che anche molti omosessuali sono contrari ai principi dell’ideologia gender. Infatti ogniqualvolta ho avuto occasione di parlare con attivisti LGBT non ne hanno affatto negato l’esistenza, al massimo ne minimizzano gli effetti. In Francia esistono associazioni contrarie ai principi del gender come “Homovox” e “Plus gay sans mariage”, fondata dall’ateo Xavier Bongibault. Femministe di tutto il mondo alla Conferenza dell’Aia si sono trovate concordi nel condannare l’utero in affitto come una nuova forma di schiavitù. Insomma molti puntualizzano sul nome, ma possiamo chiamarla teoria gender, ideologia gender o Gender Studies, la sostanza non cambia».
E’ eccessivo, secondo lei, definire la teoria del gender espressione di una ideologia, per di più pericolosa, oppure un pericolo reale c’è sul serio? «Purtroppo questa ideologia è fin troppo reale in Europa e anche in Italia. Nel novembre 2006 un gruppo di organizzazioni internazionali impegnate nel settore dei diritti umani (NGO, International Service for Human Rights e una commissione di 29 esperti di Diritto Internazionale) si sono riunite in Indonesia a Yogyakarta per stilare una carta dei principi internazionali su orientamento sessuale e identità di genere. I Principi di Yogyakarta vengono posti come guida per individuare gli standard legali a cui gli Stati devono conformarsi. Questi esperti non hanno ricevuto alcun incarico ufficiale da parte delle Nazioni Unite, eppure il documento è finalizzato all’applicazione della legge internazionale sui diritti umani alla vita e alle esperienze delle persone con diverso orientamento sessuale e identità di genere. Tutto ciò implica: una tutela rafforzata o privilegiata degli omosessuali, una capziosa limitazione della libertà di espressione nei confronti del mondo gay attraverso la previsione del reato di omofobia, l’introduzione dell’insegnamento delle teorie del genere e dell’orientamento sessuale nei programmi scolastici, nonché la protezione dei diritti dei gay anche nei confronti delle organizzazioni religiose. A seguito della elaborazione dei Principi di Yogyakarta il Consiglio d’Europa si è espresso con la Raccomandazione CM/Rec(2015)5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri. In Italia tutto ciò è stato recepito dal governo Monti, da parte del Ministero delle Pari Opportunità, il quale ha elaborato e approvato, il 29 aprile del 2013, la Strategia Nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere 2013-2015, oggi in attuazione. Le associazioni LGBT sono state accreditate come educatori, decretando la possibilità che entrino nelle scuole per portare progetti. Inoltre sono state redatte le Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT, scritte con la partecipazione del Dipartimento per le Pari Opportunità e dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidisciminazioni Razziali a difesa delle differenze). Tutti documenti che invito a leggere per capire la reale portata di quanto sta avvenendo».
Un’ultima curiosità, tornando alla sua tesi: la discussione com’è andata? «Davvero molto bene! Nonostante si tratti di un argomento così attuale, che quindi inevitabilmente spacca l’opinione pubblica e scientifica, non ho avuto particolari difficoltà ad esporre i miei studi ed ho raggiunto il punteggio massimo per la discussione. Devo anche dire che tantissimi amici mi hanno incoraggiata, sostenuta, accompagnata e hanno pregato per me e per il compito che mi ero prefissa: fare informazione, suscitare domande e curiosità, spingere le persone, in particolare gli educatori e i genitori, a prendere parte attiva a questo dibattito, sempre nel rispetto di tutti e nella fermezza di intenti che la difesa dei diritti dei bambini viene prima di tutto il resto. Anche da questo punto di vista posso dire che è stato un successo perché, nonostante io non abbia fatto granché per diffonderla, la notizia della mia tesi non è rimasta tra le mura dell’Università degli Studi del Molise e, anzi, ringrazio La Croce – Quotidiano per questa opportunità».
Fonte: Giuliano Guzzo.com