Strategia nazionale Lgbt: è guerra ai fiocchi azzurri e rosa
— 14 Luglio 2016 — pubblicato da Redazione. —Fantasie da social? Niente affatto. Leggiamo quanto scrive un’autorità in materia come il professor Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, docente di Psicologia dinamica alla Sapienza di Roma, che nell’ambito del portale nazionale lgbt si è occupato della sezione ‘identità’ (sesso, genere e orientamento). «Orientamento sessuale, identità sessuale, identità di genere, espressione e ruolo di genere sono quindi concetti diversi, spesso intrecciati, ma decisamente non sovrapponibili. Ciascuno di noi (eterosessuale, omosessuale o bisessuale che sia) può esprimere il proprio genere in molti modi – spiega l’esperto, autore di molti testi su gay, omosessualità, diritti e psicoanalisi – più o meno aderenti alle aspettative culturali e sociali di mascolinità-femminilità. Ci sono uomini omosessuali molto ‘maschili’, donne omosessuali molto ‘femminili’, uomini eterosessuali molto ‘femminili’, donne eterosessuali molto ‘maschili’ … e così via». Sul portale, per chi lo desidera, il seguito della spiegazione che comunque è già chiarissima. Visto che orientamento, identità sessuale e identità di genere, espressione e ruolo sono «intrecciati e sovrapponibili» sulla base di almeno tre variazioni – etero, omo e bisessesuale – e delle loro infinite dissolvenze, le combinazioni rischiano di essere ben superiori a quelle presentate da quei dilettanti di Facebook. Racconta la Bibbia: ‘Maschio e femmina li creò’. Antropologia da favola.
Significative anche le sottolineature offerte dalla sociologa Giulia Selmi che nel portale si occupa di ‘lavoro’, ‘movimento e rappresentanze’, ‘omofobia e transfobia’. «La paura e l’avversione nei confronti delle persone lgbt – scrive tre le altre perle – sono il frutto di una concezione negativa dell’omosessualità e della transessualità che nasce da una cultura e una società eteronormative ». Bene allora introduciamo una cultura ‘omonormativa’ e avremo risolto tutti i problemi. Ma cosa significa eternormativa? Davvero negare la diversità e la centralità del maschile e del femminile basta per superare discriminazioni e violenze?
Tra le proposte più ragionevoli spicca nel portale quella di Francesco Gnerre, insegnante e saggista: «Perché non contemplare nelle biblioteche scolastiche, accanto a sezioni dedicate al razzismo e all’antisemitismo e in genere a tematiche relative all’inclusione e al rispetto di tutti, una sezione dedicata all’omofobia e alla letteratura di argomento omosessuale? Gli adolescenti gay si sentirebbero meno soli ». Non c’è bisogno di commenti.
Ma è nulla in confronto all’originalità delle riflessioni proposte dalla psicologa Lia La Viola che se la prende perché, per annunciare la nascita di un bambino, ci sono soltanto nastrini rosa o azzurri. Evidentemente un segno «che ci indica quanto la nostra società tenda a dividere rigidamente gli esseri umani in due sole categorie: maschi e femmine». Che vergogna. Per fortuna ci sono civiltà importanti nella storia dell’umanità – spiega l’esperta – come gli Inuit dell’Artico che «alla nascita di un bambino erano, diversamente da noi, soliti dare poca importanza al suo sesso biologico. Essi infatti ritenevano che bisognasse capire quale antenato viveva in questo nuovo corpo, poiché ogni nascita non era altro che la reincarnazione di un individuo vissuto in precedenza. Poteva dunque accadere che in un bambino con un sesso maschile vivesse un antenato donna». Se non ci bastano gli Inuit, andiamo dai Dogon del Mali, presso cui «il sesso biologico non è sufficiente per definire l’identità di genere del bambino». Oppure dai Sangoma in Sud Africa «che vivono l’esperienza di essere posseduti da due antenati di sesso opposto e che dunque modellano la propria visione di genere in relazione a quale spirito sia più forte dentro di loro». Una simpatica lezione di antropologia familiare che diventa arma ideologica per promuovere la cultura gender su un portale targato Consiglio dei ministri con i soldi dei contribuenti. Davvero c’è tanto da ripensare in questo minestrone dal sapore unico, invariabile e ormai un po’ stantio.