Papa Francesco, di fronte all’orrore di Auschwitz e Birkenau, i due campi di concentramento nazisti visitati nel suo primo viaggio in Polonia, è rimasto fisicamente muto. Ma con il suo silenzio si direbbe che abbia voluto fare spazio al grido che da oltre settant’anni si leva da quelle zolle.
Del resto lo ha trovato scritto in 23 lingue anche sulle lapidi commemorative del monumento alle vittime delle Nazioni, a Birkenau: “Per sempre lasciate che questo posto sia un grido di disperazione e un avvertimento per l’umanità”. Anche il Papa, che davanti a quelle lapidi si è soffermato in lunga, silenziosa preghiera, ha letto quella frase. E viene da pensare che con il suo silenzio proprio quel grido e quell’avvertimento abbia voluto rilanciare.
Nessun suono, se non i saluti a tu per tu con i sopravvissuti e i giusti della memoria, è uscito oggi dalle labbra del Pontefice. Le uniche parole le ha vergate sul libro d’oro del museo del campo: «Signore abbi pietà del tuo popolo. Signore, perdona tanta crudeltà».
Ma i suoi gesti, la maschera del volto nel quale era possibile leggere grande sofferenza e compassione (nel senso letterale del termine), l’appoggiarsi al muro delle fucilazioni, il bacio al palo delle impiccagioni, la discesa agli inferi nelle celle di detenzione e tortura, in particolare quella in cui morì san Massimiliano Kolbe, oltre che la stessa presenza nel luogo simbolo dello sterminio degli ebrei, ha parlato al mondo nell’unica lingua che tutti possono comprendere senza bisogno di traduzioni.
Sì, Papa Francesco, di fronte all’orrore della Shoà è rimasto fisicamente muto, ma in una giornata che sembra un venerdì santo (oltre ad Auschwitz, la visita all’ospedale pediatrico e la via crucis con i giovani) ha fatto suo e rilanciato ai quattro angoli della Terra il grido e l’avvertimento di Auschwitz e di tutti i campi di concentramento. Proprio nel momento in cui il mondo sembra non voler più prestare fede a quell’ìavvertimento, nel silenzio del Pontefice è possibile sentir risuonare il grido di ogni innocente che sale sul suo personale Golgota, di chi deve abbandonare casa,famiglia e terra perché scacciato da logiche spietate di sopraffazione ideologica o di sfruttamento economico.
Il grido dei perseguitati a motivo della loro fede, delle vittime del terrorismo, dei profughi e delle vittime della terza guerra mondiale a pezzi evocata ancora una volta proprio all’inizio di questo viaggio. E poiché non si tratta di una guerra di religione, il Papa ha confermato ad Auschwitz non solo il mai più alla Shoà, ma anche il grande sì all’amicizia tra ebrei e cristiani, paradigma di una convivenza tra fedeli di diverse religioni che i “nazisti” contemporanei vorrebbero impedire. Avvertimento potente anche questo che sarebbe molto pericoloso ignorare. Alla fine della visita è proprio ciò che rimane più impresso. Insieme al suono del salmo 130, prima cantato in ebraico, poi recitato in polacco. Ancora una volta un grido: “Dal profondo a te grido Signore”. Ma questa volta è un grido di speranza. Rivolto all’Unico che da quel profondo può risollevare il mondo.