L’omaggio alla tomba di Altiero Spinelli – padre del federalismo europeo – sull’isola di Ventotene, poi il vertice a bordo della portaerei Garibaldi, che rimanda alla capacità di difesa dalle minacce esterne ma anche all’impegno per salvare in mare i migranti che partono dalle coste africane. Storia, simboli, non poca retorica e volontà pervicace di costruire un futuro comune hanno caratterizzato il vertice a tre fra Renzi, Merkel e Hollande del 22 agosto. Non un momento decisionale in senso stretto, ma un appuntamento cordiale per ribadire che l’Europa è necessaria, oggi come ieri, all’epoca dell’Isis come in quella del tramonto nazifascista.
Era così ai tempi di De Gasperi, Schuman e Adenauer, e lo scenario si ripete – pur con sensibili differenze – all’inizio del terzo millennio. Nel secondo dopoguerra c’era da ricostruire, non solo materialmente, il continente distrutto dal conflitto mondiale; oggi si tratta di rimettere in piedi un “sogno” che sembra profilarsi come l’unica risposta alla globalizzazione e alle sfide che essa porta con sé: la perdita di peso dei singoli Stati, l’urgenza di condividere le sovranità per salvaguardare gli interessi comuni, la lotta al terrorismo, la risposta alle migrazioni di massa, il potenziamento del mercato comune e delle economie nazionali in un quadro di Unione economica e monetaria.
Dunque in una fase storica altrettanto complessa rispetto al passato “ci vuole di più”: più slancio ideale, maggiore visione politica, la forza per superare le paure diffuse, la capacità di convincere cittadini e popoli rispetto a un orizzonte comune, l’intelligenza nel costruire giorno dopo giorno risultati concreti che facciano intendere proprio il valore aggiunto di un’Europa libera, democratica e unita. Quella stessa Europa di cui trattava il “Manifesto di Ventotene” di Spinelli, Rossi e Colorni.
Così i tre leader che si sono dati appuntamento sull’isola pontina hanno voluto lanciare un segnale forte: il premier italiano, la cancelliera tedesca e il presidente francese sono europeisti quanto basta, si ergono a difensori degli interessi nazionali, e sono – tutti e tre, non meno degli altri capi di Stato e di governo dei Paesi Ue – accerchiati da forti sentimenti populisti e antieuropeisti, ai quali si può rispondere con i fatti più che con le parole.
Numerosi i temi emersi durante l’incontro nel Mar Tirreno: sul piano squisitamente politico il dopo Brexit, i negoziati per il divorzio da Londra, la preparazione del summit di Bratislava di metà settembre per “il futuro dell’Ue”; il terrorismo, la sicurezza e la politica di difesa; la situazione in Siria e Libia; la crescita economica per creare lavoro, la quale richiede investimenti (piano Juncker) e ulteriore flessibilità sui conti pubblici; l’accoglienza dei migranti come responsabilità europea, la politica comune di asilo, la cooperazione allo sviluppo con Paesi di origine e transito delle migrazioni, la collaborazione con la Turchia di Erdogan. E, inoltre, i giovani, la cultura, l’energia, l’ambiente… Non sono ancora risposte ai problemi, ma certo è il tentativo di imbastire un’agenda che definisca soluzioni plausibili ed efficaci.
Matteo Renzi vola alto ed esprime un auspicio non banale: “Molti hanno pensato che dopo la Brexit l’Ue fosse finita, non è così. Abbiamo voglia di scrivere una nuova pagina di futuro”.Per questo, però, bisogna “tenere insieme sogni e concretezza. Non sarà un percorso facile, ma la Ue non si tira indietro”. Angela Merkel mette le mani in pasta, concreta come sempre, e riferendosi a Pil, crescita e investimenti, spiega: “Credo che il Patto di stabilità conceda già molte possibilità di flessibilità” (messaggio rivolto agli amici francesi e italiani, sempre alle prese con bilanci pubblici ballerini). Quindi aggiunge: “Noi vogliamo che Italia, Francia e Germania possano crescere, in modo da creare posti di lavoro e questo significa realizzare delle condizioni per favorire gli investimenti privati”. Dal canto suo François Hollande, per ovvie ragioni, rivolge lo sguardo a sicurezza, difesa, confini e, sugli scenari mondiali, afferma: “Penso a quanto succede ad Aleppo, una catastrofe umanitaria, che se non faremo nulla, un giorno sarà la vergogna dell’intera comunità internazionale”.
Così risuonano, ancora una volta, le parole della Dichiarazione Schuman del 1950:
“L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Oggi come ieri: tempi duri e sfide apparentemente insormontabili per il Vecchio continente, che richiedono ideali “alti”, progetti e maniche rimboccate.
Fonte: AgenSir.it