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Usa, la pena di morte ora si ferma

I due candidati alla Casa Bianca evitano con cura l’argomento. Ma nel silenzio generale della politica, la pena di morte sta gradualmente perdendo terreno negli Stati Uniti. Spesso per motivi pratici (la carenza di farmaci per preparare i cocktail letali usati nelle esecuzioni) o economici (i procedimenti capitali sono molto lunghi e dispendiosi e questi sono tempi di ristrettezze), ma anche per una crescente repulsione morale di fronte a enormi, e spesso irreparabili, errori giudiziari emersi grazie agli esami del Dna. Non si può parlare di un movimento percepibile a livello federale, ma, Stato per Stato, è innegabile che la resistenza a infliggere condanne a morte o a portare a termine quelle già imposte sta crescendo, fra le giurie, le procure, le carceri e i governatori.

Dal primo maggio ad oggi ci sono state due condanne a morte negli Stati Uniti, un numero eccezionalmente basso. L’anno scorso, negli Stati Uniti, sono state portate a termine 27 esecuzioni: è stato il settimo anno consecutivo di cali. E il totale dei condannati sottoposti all’iniezione letali alla fine di quest’anno probabilmente sarà il minimo raggiunto in un quarto di secolo. Solo tre Stati, Texas, Georgia e Missouri, insistono nell’applicare la pena di morte con una certa regolarità anche se il Texas non ha più ucciso da aprile. “Solo” quattro esecuzioni sono previste prima della fine del 2016. Anche alcuni giudici della Corte suprema, nell’affrontare limitati casi relativi alla pena di morte, hanno avuto modo di esprimere la loro convinzione che la pratica sia in via d’estinzione.

La donna magistrato della massima Corte costituzionale americana Ruth Bader Ginsburg, ad esempio, ha detto di recente che la riduzione delle esecuzioni nel numero di Stati che applicano la pena di morte fa pensare che essa «stia svanendo». Lo scorso anno, insieme al collega Stephen Breyer, Ginsburg ha evidenziato l’impossibilità di applicare con equità la pena di morte ed è arrivata insieme al collega a concludere che probabilmente è incostituzionale.

Ma non c’è ancora una chiara maggioranza all’interno della Corte che lasci presagire un’imminente abolizione della pena capitale. Secondo Ginsburg, però, un tale passo forse non è necessario. «La maggior parte degli Stati non porta più a termine le esecuzioni, che solitamente sono concentrate in poche giurisdizioni», ha detto il giudice. Mentre due Stati che hanno dovuto fermare le esecuzioni a causa della sospensione delle forniture di sostanze letali da parte delle società farmaceutiche, Ohio e Oklahoma, stanno studiando il modo di riprenderle, infatti, la California, che ospita il più grande braccio della morte del Paese, a novembre potrebbe diventare il sesto Stato in altrettanti anni ad abolire la pena di morte.

Né Hillary Clinton né Donald Trump sostengono l’abolizione della pena capitale. Ma entrambi fanno molta attenzione a parlarne solo se costretti. Interpellata sull’argomento dall’ex rivale alle primarie Bernie Sanders (una dei pochissimi candidati alla presidenza ad essersi schierato chiaramente contro la morte di Stato), l’ex segretario di Stato ha ribadito di essere favorevole alla pena per crimini particolarmente efferati che ricadono sotto la giurisdizione del governo federale.

Ma ha criticato il modo in cui molti Stati americani applicano la pena capitale. «Si tratta di una questione veramente difficile – ha detto la candidata democratica – e continuo a credere che gli Stati si sono dimostrati incapaci di condurre processi giusti in grado di dare agli imputati tutti i diritti che gli imputati devono avere. Mi sentirei sollevata se la Corte Suprema o gli Stati stessi cominciassero ad eliminarla». Trump in passato ha detto di essere «certamente » a favore. E ha proposto una legge che renderebbe automatica la pena capitale per chi uccide un poliziotto.

Fonte: Avvenire.it

 

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