S’apre su uno degli angoli con più storia, a Bocca di Magra, un’oasi tra mare e cielo per ritrovare il filo della memoria e della vita. Monastero di Santa Croce. Per i viali e i sentieri sacerdoti, suore, coppie, famiglie. C’è chi prega, chi pensa, chi semplicemente osserva il mare ora increspato da onde lunghe e profonde. Negli anni della recessione, della fabbriche che chiudono, dei giovani senza lavoro, degli attentati terroristici, dell’esodo dei migranti, le lacrime della crisi passano anche tra i quattrocento ulivi che addolciscono la ripida collina. Persone in ricerca, uomini e donne feriti o incerti, anime che sognano pace. Nella cappella c’è chi si ricarica, nelle stanze chi si ferma come sotto una tenda, chi rivede e risente sensazioni fino a ieri sommerse del rumore assordante del mondo.
Fu il cardinal Anastasio Ballestrero, nel 1952, alla guida dei Carmelitani Scalzi a scoprire, comprare e strappare a qualche insediamento edilizio questo scorcio straordinario di Liguria. E volle che diventasse una casa di spiritualità. Da allora chi ha fame di Dio ha un porto in più dove attraccare. E negli anni (dal 2008) della terribile gelata mondiale non ha mai smesso di accogliere. «Famiglie, gruppi parrocchiali, associazioni, imprenditori, professionisti. Tutte persone che vengono a cercare pace e distacco». Padre Paolo, che con tre confratelli e le suore gestisce la casa, parla con estrema serenità. Intanto scorrono le ore di una giornata qualunque. Chi vuole partecipa alle preghiere e alla messa, altri vengono perché hanno ricominciato un loro percorso di spiritualità. Cercano risposte ai perché fondamentali della vita o tentano di ritrovare armonia e sintonia perse nella corsa dei giorni. Arrivano da tutt’Italia, dalla Francia, dall’Inghilterra ed entrano in quella che sembra una ideale ‘porta della misericordia’ a strapiombo sul mare. La stragrande maggioranza sono cattolici, ma non mancano protestanti, buddisti, persone che, a volte, non hanno ancora trovato le ragioni vere della vita. E, nel silenzio, ne cercano le tracce.
Il monastero, in fondo, è uno specchio che riflette tutte le vite che ha avuto. Venne fondato nel 1176 dal vescovo di Luni, Pipino, che aveva dato in dono questa terra ad un monaco, si pensa benedettino, per costruire un centro dedicato alla Santa Croce e al beatissimo Nicodemo. Un’esperienza destinata a finire presto. Ma la costruzione per almeno due secoli è stata contesa, per la sua posizione strategica dalle Repubbliche Marinare di Pisa e Genova. Testimone della sua importanza il crocefisso di legno, crocifisso tunicato che illumina la cappella. Si respirano storia e anche leggende camminando tra gli alberi secolari. Secondo la tradizione anche Dante sarebbe passato di qui. Quanti volti, quante storie così diverse dietro queste mura. C’è l’acquisto da parte di un privato che lo abbellisce e forgia come sua residenza; nella seconda guerra mondiale è sede del comando nazista, spogliato e saccheggiato. Fortune e guerre, polvere ed altari. Ed ora, invece, trasuda voglia di serenità. Vengono in molti per una settimana di esercizi spirituali, vengono dalle parrocchie per cercare quel deserto che non c’è più o che l’implacabile ritmo della crisi economica ha minato nel profondo distruggendo coppie, famiglie, amicizie. Vengono in molti per sciogliere i loro dubbi, per ritrovare l’equilibrio perso, per riprendere il cammino. Il monastero, da quando ha ripreso la sua strada, è così: un posto per ripescare la saggezza svanita e, per molti, il colloquio con Dio.
Quasi sul mare c’è la casa dove il cardinal Anastasio Ballestrero ha vissuto gli ultimi anni fino alla fine. Pregava e contemplava, pregava ed incoraggiava e consigliava uomini di Chiesa in una veranda ed un giardino dove è bello ora leggere la Laudato si’ di papa Francesco. Lo chiamano ‘Il fortino’. Una costruzione semplice, sobria, austera che con il sole alto sul mare, che riflette la luce nelle stanze, sembra davvero un mondo diverso, lontanissimo da quello che sta nella vicina baia colma di yacht milionari o sull’autostrada che scende a Sarzana sfiorando Lerici e le Cinque Terre. Nella stanza dove è morto, il letto semplicissimo come quello della cella di un convento, l’abito da carmelitano, i vestiti da vescovo e cardinale e alcuni suoi libri. Fuori, da soli o in coppia, chi è salito a Bocca di Magra per riprendersi magari una parte di se stesso, percorre, lentamente la Via della Croce che attraversa il parco. C’è chi è venuto semplicemente a tirare il fiato, chi è nel mezzo di scelte molto importanti, chi vive o conosce e segue i grandi drammi dell’esistenza, storie di vittime della recessione travolte dalla perdita del lavoro, della salute, dell’amore, della famiglia, dei figli. Ed è venuto a rafforzare la fede per poter dire «Non abbiate paura». Ma tutto avviene nella più assoluta discrezione.
Sete di Dio, fame di pane e di verità convivono e si coniugano perché quasi tutti quei preti che ora sono qui, per qualche ora o giorno, sanno che cosa vuol dire sentir bussare alla porta, aprire e trovarsi di fronte al dramma di un padre o una madre che non sanno come fare a pagare le bollette o l’affitto. Tutti in questo crepuscolo d’inizio secolo hanno dovuto raddoppiare le risorse e le braccia nella Caritas per poter dare qualcosa al numero crescente di persone in difficoltà. Tutti in qualche modo hanno cercato di affrontare le richieste d’aiuto che hanno portato in Europa, nel 2015, un milione di immigrati. Tutti hanno visto gli effetti dell’odio devastante che ha colpito e continua a piagare l’Occidente. C’è chi ha risposto, chi non ha potuto o voluto farlo, chi l’avrebbe fatto ma… Però poi, molti se non tutti, hanno sentito il bisogno di fermarsi, per ritagliarsi il tempo di colloquio con Dio e tentare di uscire dalle secche della crisi con parole e fatti che vadano oltre il quotidiano. Paesaggio, fede, natura. Così inquadrano il monastero i Carmelitani sul loro sito. Forse è una via per uscire dal deserto che, a volte, ci si sente dentro.