Quanti sono gli alunni con cittadinanza non italiana presenti nelle scuole cattoliche del nostro Paese? E qual è il loro identikit? Lo rivela il XVIII Rapporto del Centro studi per la scuola cattolica (Cssc) appena pubblicato, intitolato “A scuola nessuno è straniero” e dedicato al tema dell’intercultura. Secondo l’indagine, sono 32.157 quelli registrati nell’anno scolastico 2014-15 nelle 8.526 scuole cattoliche italiane, pari al 4,9% del totale di 654.931. A fare la parte del leone le scuole dell’infanzia, con 25.922 bambini “stranieri”, la maggior parte dei quali (83,5%) però nati in Italia, (percentuale che si aggira intorno al 78% nell’insieme degli istituti cattolici di ogni ordine e grado).
“Siamo lontani dalle percentuali della scuola statale (9,5%) – commenta Sergio Cicatelli, direttore del Centro studi, – ma la distanza è facilmente spiegabile con i costi della scuola paritaria difficilmente sostenibili dalle famiglie di immigrati. Finché perdurerà questa mancanza di libertà di scelta educativa è ovvio che gli stranieri si rivolgeranno più facilmente alla scuola statale”. Tuttavia le percentuali di frequenza raddoppiate (e per la scuola dell’infanzia triplicate) negli ultimi vent’anni dimostrano che,
malgrado le difficoltà economiche, le famiglie non italiane hanno fiducia nella scuola cattolica
L’identikit degli alunni “stranieri”. Secondo il Rapporto, nel quale non sono presenti i dati delle province di Aosta, Bolzano e Trento, che per il loro Statuto autonomo sono oggetto di rilevazioni separate, gli alunni stranieri si trovano anzitutto in Lombardia (11.243, pari al 35,0% del totale nazionale), seguita da Veneto (8.075), Emilia Romagna (2.626), Lazio (2.551) e Piemonte (2.238). I primi quattro Paesi di provenienza sono, nell’ordine, Romania, Albania, Cina e Marocco. Le bambine sono meno della metà nelle scuole cattoliche dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, ma le ragazze arrivano al 56,9% nelle secondarie di secondo grado.
Anche disabili. Tra gli alunni non italiani delle scuole cattoliche l’1,4%, ossia 411, sono portatori di disabilità. Un numero piuttosto basso rispetto alla media dell’intero sistema di istruzione – pari al 2,7% degli allievi – anch’esso spiegabile, secondo Cicatelli, con “le difficoltà economiche che le scuole (e di conseguenza le famiglie) devono sostenere per assicurare il necessario sostegno”. Un problema di equità sociale e scolastica ancora irrisolto nonostante il “sensibile sforzo offerto dalla scuola cattolica per soddisfare la domanda educativa proveniente da famiglie con figli disabili”. La legge 89/2016 ha previsto per le scuole paritarie un sostegno di circa 1.000 euro per ogni alunno disabile iscritto: “misura ancora insufficiente” ma che rappresenta “un’interessante inversione di tendenza”.
Quale appartenenza religiosa? “Non esistono rilevazioni analitiche”, afferma ancora Cicatelli. Tuttavia il secondo monitoraggio della qualità delle scuole cattoliche in Italia, condotto dal Cssc nell’anno scolastico 2013-14, ha rilevato, basandosi sulle stime dei responsabili delle scuole coinvolte nell’indagine, che gli alunni non cattolici sarebbero il 4,3% nelle scuole dell’infanzia, l’1,9% nelle scuole primarie, l’1,7% nelle scuole secondarie di primo grado e il 2,6% nelle scuole secondarie di secondo grado. Ad essi si aggiunge un ben più cospicuo 30,9% di allievi non cattolici che frequentano i centri di formazione professionale di ispirazione cristiana. Interessanti le percentuali di chi non si avvale dell’insegnamento della religione cattolica, meno dell’1%, che tuttavia, sottolinea il direttore del Centro studi, dimostra “la libertà comunque lasciata di non frequentare una disciplina caratterizzante il progetto educativo di queste scuole”.
Dialogo, incontro, accoglienza sono nel Dna della scuola cattolica
Lo prova l’impegno di alcuni istituti salesiani dove il curriculum prevede progetti di approfondimento del dialogo interreligioso. I giuseppini del Murialdo investono molto sulla formazione linguistica degli allievi per far crescere in loro un atteggiamento “aperto, accogliente e dialogante”, mentre per le canossiane il principio dell’inclusione costituisce “una delle cinque pratiche identificanti della scuola canossiana di oggi” e orienta la didattica all’incontro e all’accoglienza con le culture. Sulla stessa linea le nuove forme di scuola cattolica nate da cooperative, fondazioni, associazioni nelle quali si incontrano studenti cattolici, ortodossi e islamici in un comune terreno di “dialogo, cooperazione e convivenza” che, afferma Cicatelli, “può condurre fino all’apertura di un corso di Corano, insolita e imprevedibile esperienza per una scuola cattolica”.
L’interculturalità non è “un diluirsi in forme di insipido relativismo”, chiarisce il direttore del Cssc, ma
“appartiene al patrimonio educativo delle scuole cattoliche e ne rappresenta un principio costitutivo che attende solo di essere compreso e sviluppato fino in fondo”.
Così, quella che oggi è vissuta come un’emergenza (drammatica e segnata da tante paure) potrà fra qualche anno “diventare la normalità (pacifica) di un dialogo da vivere quotidianamente tra culture e fedi diverse a scuola, nel lavoro e nella vita di relazione”.