Nelle prime ore di Ognissanti, giorno di riconoscenza e di memorie, l’onorevole Tina Anselmi ha concluso la sua missione terrena. Ed è iniziata la memoria di lei, che durerà a lungo, non senza gratitudine e stima, anche da chi aveva differenti visioni politiche e culturali. Ella di fatto ha percorso tutta la storia della nostra Repubblica democratica, operando responsabilmente e coraggiosamente, interprete singolare dell’impegno politico dei cattolici.
Era stata forgiata dalla resistenza al nazifascismo, che aveva respirato già in famiglia (è nata a Castelfranco Veneto nel 1927 da famiglia umile, cattolica, col padre di idee socialiste ed antifascista), e a diciassette anni è stata tragicamente attratta all’impegno politico.
Durante gli studi magistrali a Bassano del Grappa fu costretta ad assistere, il 26 settembre 1944, all’impiccagione di 31 partigiani da parte dei nazifascisti: esperienza traumatica che la portò a decidersi per la Resistenza attiva, nella brigata Cesare Battisti comandata da Gino Sartor suo concittadino. Cominciò col fare la staffetta, assumendo il nome di “Gabriella”. Sempre nel 1944 si iscrisse alla Democrazia Cristiana. Insegnante elementare (dopo la guerra si laureò in lettere alla Cattolica di Milano) per un ventennio, dal 1948 al 1968, suo principale impegno fu l’attività sindacale (prima nella Cgil e dal 1950 nella Cisl, anno di fondazione) che fu il suo apprendistato sociale, e contemporaneamente si iscrisse anche alla Dc, dove assunse progressivamente sempre maggiori incarichi, a livello nazionale ed anche europeo, nei settori giovanili e femminili.
Nel 1968 fu eletta deputato, e restò in Parlamento continuativamente fino al 1992, operando nelle Commissioni Lavoro, Previdenza Sociale, Igiene e Sanità, Affari Sociali. Si occupò in particolare dei problemi della famiglia e della donna: a lei si deve la legge sulle pari opportunità.
Nel 1976 divenne Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale: prima donna ministro in Italia. Nel 1978 fu Ministro della Sanità fino al 1979, contribuendo alla riforma che portò alla nascita del Servizio Sanitario Nazionale. Nel corso della VIII legislatura nel 1981 fu nominata presidente della Commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2, i cui lavori si conclusero quattro anni dopo, nel 1985. Per il prestigio guadagnato nei vari servizi politici nazionali e internazionali, sempre attenta al sociale, nel 1992 fu proposta come candidata alla presidenza della Repubblica; ma proprio in quell’anno fu costretta a lasciare il Parlamento per contrasti interni al partito. In realtà il suo schieramento nella sinistra Dc minoritaria la teneva in posizione critica, responsabile ma libera; solo il prestigio personale di donna competente, leale e onesta, rese possibile la sua singolare carriera politica. Lo testimoniano anche le molteplici onorificenze e riconoscimenti che ricevette (nel 1998 Dama di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica; nel 2009 il “Premio Articolo 3” per l’attività svolta al servizio della libertà e dei valori di uguaglianza).
Non le fu facile, in quegli anni, comporre fede cattolica e laicità dello Stato e della politica, e tradurre gli ideali di libertà in progetto di “democrazia compiuta”, che chiedeva capacità di dialogo, collaborazione sincera e onestà politica. Risultò scomoda, eppure autorevole.
Libera dagli impegni parlamentari, si dedicò con passione e competenza all’attività culturale e formativa, ricoprendo ruoli di rappresentanza nazionale e internazionale, riconosciuta testimone credibile dei valori per i quali si era sempre spesa. Curò anche numerose pubblicazioni, di memorie e di formazione delle giovani generazioni.
Tutto questo finché la malattia le permise qualche attività.
Ciò che faceva più volentieri negli ultimi anni era incontrare i giovani nelle scuole e nelle associazioni: non rinunciava mai a questi inviti; ed erano sempre esperienze di successo, perché i giovani vedevano in lei un testimone credibile, quando parlava di libertà e di democrazia, di impegno civile, di promozione ed uguaglianza sociale, e della pace internazionale.
Rettitudine morale e passione civile la rendevano, anche in età avanzata, donna attraente ai giovani. Intelligente nel porre interrogativi, non amava sentenziare e si asteneva dal giudicare. Essa stessa restava colpita dalla recettività dei giovani ai valori che erano stati gli ideali della sua vita. Anche se ricordava volentieri, ma con pudore, il suo passato, viveva nel presente dove sapeva scorgere motivi di speranza per il futuro. Fino agli ultimi anni, finché la malattia le concesse spazi di dialogo, trasmetteva con entusiasmo i suoi convincimenti, mai chiusa in visioni pessimistiche; anche perché convinta che c’era ancora molto da fare: sul ruolo delle donne, sulle opportunità per i giovani, sulla libertà e sulla giustizia quali condizioni obbligate per la pace. Ribelle per la libertà in giovinezza, il lungo e laborioso impegno cristiano in politica ne aveva fatto una “ribelle della speranza”.
Di umili origini, non rinunciò mai alla semplicità della vita. A Castelfranco le bastava il piccolo appartamento dove ricevere le persone con riservatezza, che spesso le presentavano sofferenze e bisogni; se poteva, aiutava, ma non illudeva. Incapace di pettegolezzo, non si intrometteva nelle responsabilità altrui; non si riconosceva nello stare contro, perché credeva nelle potenzialità delle persone e nelle opportunità della vita.
Donna di fede convinta,
quando ritornava in città non mancava alla Messa domenicale, occasione per salutare il parroco e coltivare relazioni parrocchiali. Quando la malattia le impedì di muoversi desiderava la visita del suo parroco, per i sacramenti e per dialogare sulla vita della Chiesa: lo scambio di opinioni la aiutava a sviluppare riflessioni che manteneva aperte, perché gli interrogativi contenevano più verità. E tuttavia, quando si arrivava alla preghiera e alla esperienza sacramentale, era la donna della fede semplice, quella del popolo, che aveva sempre conservato.
Fonte: AgenSir.it