Tra ponti e muri, dialogo e misericordia, identità e accoglienza, sinceramente non ne posso più. Questo, che è diventato il ritornello di tutti i discorsi mondani sul tema della fede, io proprio non lo capisco. A me sembra un falso problema, o meglio uno di quelli risolti entro le prime tre o quattro lezioni del primo anno di catechismo. E’ ovvio che i muri si alzano per affermare dei principi, ma che poi si cerca di andare verso ogni persona, se c’è bisogno anche costruendo ‘sto famigerato ponte. Potrei proseguire la metafora, dicendo che i ponti comunque devi appoggiarli su qualcosa di solido, e che più che un muro serve un bastione, ma è meglio se parliamo di casi concreti.
Per esempio: io so che l’aborto è la cosa peggiore che una donna possa fare, per sé e per il suo bambino, oggettivamente, indiscutibilmente, inderogabilmente. Se però una mia amica si trova a farci i conti per motivi che solo lei e Dio sanno fino in fondo, io le voglio bene lo stesso, esattamente come prima, o forse più di prima, perché intuisco il dolore che comunque le ha attraversato il cuore. Se un mio amico è adultero, gli voglio bene lo stesso, anzi di più: continuo a dirgli, se non lo sa, che non si può fare, che sbaglia, ma magari lo chiamo anche più spesso di prima perché so che è in un momento, comunque, di fatica o di dolore, o di confusione, forse incatenato dal demonio, e ha bisogno di ancora più amicizia. Mi sembra tanto chiara la questione.
A un musulmano affamato si dà da mangiare senza fare una catechesi di iniziazione cristiana, ma non gli si dice neppure che per noi la sua fede equivale alla nostra (né credo questa sia la cosa che a lui interessi sentirsi dire, tra l’altro: probabilmente lo offenderemmo, perché a differenza di molti di noi i musulmani hanno un’idea molto chiara della propria identità di fedeli). Una verità debole non serve a nessuno, perché che cosa aggiunge alle domande dell’uomo? In che modo aiutiamo qualcuno che soffre, se non facendogli compagnia, ma anche trovando una redenzione, un senso al suo dolore? Ogni uomo ha bisogno di rispondersi, almeno una volta nella vita, alle domande fondamentali: che senso ha la mia vita qui? Perché devo faticare tanto e poi morire? È tutto qui? C’è davvero questo Dio di cui tutti parlano? E di che sostanza è fatto?
Chi ha l’enorme, immeritato privilegio di credere che la notizia buona è vera, cioè che Cristo è veramente risorto e noi non moriremo mai, inevitabilmente desidera dare questa bella notizia alla gente che vede triste, e che anche senza dirla esprime una domanda. Grazie a questa bella notizia – siamo figli di un Padre che ci ama immensamente – nasce piano piano in noi il desiderio di ascoltarlo, questo Padre. E scopriamo che ci ha scritto una lettera, la Parola di Dio, e che attraverso la Chiesa continua a dirci delle cose che compiono la rivelazione. Ascoltandolo, possiamo scoprire come essere felici da oggi per l’eternità, perché la prima conseguenza di avere un Padre che ci vuole bene è scoprire che ci conviene ascoltarlo: lui, che ci ha fatti, deve avere conservato da qualche parte il nostro libretto di istruzioni. Ne ha fatto un riassunto nel decalogo, ma prima ha messo la premessa fondamentale. Il primo di tutti i comandamenti è: ascolta. Cioè non obbedire solo a te stesso, ma fidati di chi ti ha fatto e di chi tu vuole persino più bene di quanto tu ne vuoi a te stesso.
È dunque, così, evidente, che le norme di comportamento, le istruzioni che stanno nel libretto di ogni essere umano non sono la prima cosa da annunciare agli altri. La prima cosa da dire è: c’è un Padre che ti ama pazzamente, e vuole stare con te. Se poi qualcuno ci chiede come è possibile aprire la porta, quando questo ospite tanto sospirato bussa, allora possiamo cominciare a parlare di principi non negoziabili, e dobbiamo farlo con grande chiarezza, ma sempre ricordando da dove vengano questi principi – dall’ascolto della Parola che Dio ha lasciato alle sue creature più care, per le quali ha dato la sua stessa vita – e dove ci porti una vita vissuta secondo quelle: alla felicità di stare con lui dentro al cuore. Una vissuta senza aprire quella porta, invece, è l’inferno, adesso e per sempre.
Quando questo ci è chiaro – vogliamo la salvezza delle persone, non incatenarle a precetti – allora possiamo dire le cose più scomode con grande serenità. Serve una verità chiara comunicata da cuori di carne, capaci di intenerirsi per ogni uomo, e per la fatica che fa lui, che facciamo noi, ognuno di noi, ad aderire a quella realtà. Ma il fatto che vediamo in noi il peccato, e che lo vediamo negli altri, non significa che si debbano fare sconti sul giudizio.
Quando qualcuno mi guarda inorridito e mi dice “stai giudicando!!!!” come stessi entrando col napalm in un asilo nido, io rispondo sempre che il giudizio è una delle forme di amore più preziose, e che per esempio le mie amiche più care sono quelle che quando è stato necessario mi hanno giudicata. Eccome se lo hanno fatto. Certe botte da orbi mi sono presa! Eppure oggi sono quelle a cui voglio più bene, perché mi hanno detto la verità.
Quando poi mi dicono “Gesù ci ha insegnato a non giudicare”, allora il napalm lo prenderei davvero in mano. Gesù ha insegnato a non giudicare le persone, ma i fatti li ha giudicati, eccome. Giudicare è l’atto più nobile e umano che ci sia chiesto: esercitare un giudizio sulla nostra storia, sulla nostra realtà ci salva!!
Finiamo con un esempio non proprio a caso. Se nel nostro paese si sta discutendo una legge sbagliata secondo il disegno di Dio, opporsi in modo fermo è il dovere di ogni cristiano. Opporsi a una legge che porti le persone a fare il male non significa giudicare che quelle persone sono male, ma al contrario che sono tanto buone per noi che non vogliamo che si perdano. Il fatto che ci sia ancora qualcuno che senta il bisogno di chiarire che affermare un principio non è essere contro chi lo trasgredisce mi risulta incomprensibile. E con questo, per quanto mi riguarda, considero veramente chiuso l’argomento. La prossima volta che qualcuno mi chiederà “allora tu sei contro…” risponderò di sì, a quel punto sì.
Sarò contro, contrissimo, e tirerò fuori il napalm
Fonte: Costanza Miriano blog