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LIBRI – La cura della ragione: Esercizi per allenare il pensiero

Escono in volume gli “esercizi per pensiero” dello scienziato cognitivo Fabio Paglieri, ottimista sulle nostre capacità: «Però vanno usate bene»

Abituati sulla scena pubblica a valutare gli argomenti più dai decibel con cui sono pronunciati che dalla loro forza logica, siamo spesso tentati di cedere allo sconforto sullo stato della nostra capacità di ragionare. A partire dalla scuola. Ma forse la diagnosi non è così infausta. Anche se la nostra ragione va allenata, e i modi ci sono. Lo spiega nel suo più recente libro Fabio Paglieri, scienziato cognitivo dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Cnr di Roma e direttore della rivista ‘Sistemi Intelligenti’. La cura della ragione. Esercizi per allenare il pensiero (il Mulino, pagine 212, euro 15,00) è un’introduzione agile e godibile, che però non sacrifica il rigore della trattazione e la scientificità dei contenuti.

Il suo libro parla di una ‘cura della ragione’, presupponendo una patologia, soprattutto in ambito interpersonale e pubblico, ma anche privato: quante scelte personali non ben ponderate! Come e quanto è malato il nostroragionare?

«In realtà, lo è meno di quanto gli studi sui cosiddetti ‘errori di ragionamento’ sembrano suggerire. Il libro difende un cauto ottimismo sulla nostra ragione, e il concetto di ‘cura’ assume un significato diverso: non si tratta di combattere una patologia, come quando curiamo il raffreddore, bensì di aver cura di una facoltà sana ma fragile, come un genitore si prende cura di un figlio. È in questo senso che la nostra ragione va curata: non perché sia particolarmente malata, piuttosto per evitare che lo diventi e, più in generale, per affinarla e farlacrescere».

Lei fa molti esempi di come inciampiamo sulla logica anche in problemi banali, ma è interessante e controintuitivo scoprire che spesso sbagliamo perché non abbiamo capito la domanda, quando saremmo in realtà capaci di rispondere…

«Spesso accade di restare prigionieri di assunzioni implicite non richieste, che impediscono di individuare la soluzione corretta. Ci si misuri, per esempio, con il problema della moneta falsa, proposto qui a fianco. Oppure non ci si rende conto di quanta informazione sia già in nostro possesso, per pigrizia mentale. Si provi il problema dei tre cappelli».

Alcuni studiosi sostengono che tutto sommato la nostra capacità di ragionare, pur difettosa, è adatta al nostro ambiente. Lei sostiene che i maggiori difetti nascono da sviste interpretative e problemi di attenzione, enon da mancanze nel cosiddetto processo inferenziale. Può spiegare questa ipotesi?

«Affinché un errore possa essere attribuito a cattivo ragionamento, occorre avere ben chiare tutte le premesse rilevanti, e tuttavia non riuscire a raggiungere la conclusione corretta. Se si guarda con attenzione ai risultati sperimentali, ci si accorge che spesso non è questo ciò che avviene: quando sbagliamo, l’origine dell’errore sta nel trascurare informazioni rilevanti, oppure nel prestare attenzione a falsi indizi. I due problemi riportati lo illustrano bene. Nel problema della moneta falsa, ci si fissa spesso su aspetti irrilevanti o non pertinenti. Con i tre cappelli non prestiamo abbastanza attenzione alle informazioni contenute nel dialogo fra Anna e Bruno. Gli errori restano errori, ma la diagnosi cambia: non si tratta di migliorare la nostra capacità di trarre inferenze logiche, bensì di allenare la nostra attenzione».

Il ragionamento critico andrebbe quindi allenato, ma la nostra scuola ignora o quasi il tema e anche l’istruzione superiore insegna più teoria che buon ragionamento pratico. Che cosa si può fare concretamente?

«È necessario investire seriamente nella formazione degli insegnanti su questi temi. A parole, i documenti ministeriali attribuiscono un peso enorme allo sviluppo delle capacità di ragionamento critico degli studenti, ma fondi non se ne vedono. Invece i docenti andrebbero allenati in tal senso, perché i dati mostrano la loro attuale impreparazione ad affrontare questa sfida, e non per loro colpa: semplicemente, finora ci si è limitati ad affidare agli insegnanti l’ennesima missione, senza fornire strumenti adatti a compierla. Anche a livello universitario l’allenamento al ragionamento, che è ben diverso dall’insegnare teorie del ragionamento, andrebbe potenziato: al momento le esperienze in tal senso, purtroppo, si contano sulle dita di una mano».

Alla fine del volume, si elencano alcune strategie che sembrano particolarmente efficaci per migliorare la nostra capacità di ben ragionare. Può descrivere le più promettenti dal suo punto di vista?

«Le strategie migliori si riassumono in tre massime: conoscere i propri limiti, verificare le risposte, e ragionare in compagnia. Sul primo punto, si tratta di sapere in quali aree e contesti gli errori occorrono più spesso, in modo da muoversi con maggiore cautela: per esempio, su rischi e probabilità inciampiamo spesso, quindi è bene prestare particolare attenzione a questo tipo di questioni. La verifica delle risposte, poi, è un’arte dimenticata: non si tratta di ripetere lo stesso ragionamento, bensì di controllare in modo indipendente se la risposta trovata funzioni. Se si impara a farlo, si evitano un sacco di cantonate. Ragionare con altre persone, infine, sfrutta il fatto che vediamo meglio la pagliuzza nell’occhio altrui che non la trave nel nostro: quindi ragionando in compagnia ci si corregge meglio che non ragionando da soli. A condizione però che il gruppo abbia opinioni diversificate, poca gerarchia, libertà di parola e nessuno tema di sfigurare».

Lei sembra comunque abbastanza ottimista. Società che nei millenni sono diventate meno violente, più tolleranti, più altruistiche, democratiche sono frutto anche di un progresso nella capacità diffusa di ragionamento? Possiamo ancora fare meglio?

«La capacità di ragionamento non è certo garanzia di sviluppo etico (molti efferati criminali sono eccellenti ragionatori), ma ne costituisce una precondizione: se ragiona male, anche un santo può produrre disastri. Quindi il buon ragionamento è condizione non sufficiente, ma necessaria dello sviluppo sociale. Un caso lampante è il processo democratico: con buona pace di Platone, non è detto che un popolo di raffinati ragionatori produca un governo giusto, ma è certo che un popolo di pessimi ragionatori produrrà governi infermi, instabili e inefficaci. Per questo la cura della ragione costituisce parte essenziale nella formazione dei cittadini, e come tale andrebbe trattata».

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