In tema di confessori, c’è anche un gesto di riconciliazione verso la Fraternità San Pio X, cioè i seguaci del defunto vescovo tradizionalista francese Lefebvre, che avevamo anticipato ieri su questo giornale. Ai sacerdoti lefebvriani, che pure non sono in piena comunione con la Santa Sede, il Papa rinnova l’ autorizzazione a confessare validamente i fedeli cattolici, già concessa per l’Anno Santo, «confidando nella (LORO) buona volontà perché si possa recuperare, con l’ aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa cattolica». Resta ora da vedere se e come i lefebvriani risponderanno a questo generoso appello alla buona volontà.
Il terzo tema, il più teologico, è anche il più decisivo. Nelle scorse settimane la Chiesa è stata scossa da polemiche in materia di interpretazioni dell’esortazione apostolica «Amoris laetitia», pubblicata dal Papa durante l’Anno Santo, che propone alcune caute aperture quanto alla possibilità per certe categorie di divorziati risposati di accostarsi ai sacramenti. Quattro cardinali guidati dall’ americano Burke, cardinale patrono dell’ Ordine di Malta, che ha arruolato tre suoi colleghi in pensione hanno scritto al Papa chiedendo risposte secche, sì o no, su «Amoris laetitia» e sulla comunione ai divorziati risposati.
Il Papa non ha risposto, e i quattro hanno resa pubblica la lettera, accompagnata da un’intervista di Burke che minaccia addirittura una «pubblica correzione» del Pontefice, anche se in un successivo colloquio con un giornalista ha negato di voler promuovere uno scisma. In «Misericordia et misera» Francesco, implicitamente, risponde. Parlando della famiglia, il Papa invita a «non dimenticare che ognuno porta con sé la ricchezza e il peso della propria storia, che lo contraddistingue da ogni altra persona. La nostra vita, con le sue gioie e i suoi dolori, è qualcosa di unico e irripetibile, che scorre sotto lo sguardo misericordioso di Dio. Ciò richiede, soprattutto da parte del sacerdote, un discernimento spirituale attento, profondo e lungimirante perché chiunque, nessuno escluso, qualunque situazione viva, possa sentirsi concretamente accolto da Dio».
A chi chiede un sì o un no che valga per tutti i casi, il Papa risponde che ogni caso singolo è unico e irripetibile e va trattato come tale. Quella che stiamo vedendo oggi nella Chiesa cattolica è una tipica situazione di tensione fra due modelli difficili da riconciliare, descritta nella classica opera del 1966 dell’ antropologa inglese Mary Douglas «Purezza e pericolo».
I critici di papa Francesco si considerano custodi della purezza della norma, e ritengono che debba essere difesa con un’operazione di demarcazione dei confini, distinguendo chiaramente tra chi è dentro e chi è fuori. Papa Francesco vede un altro tipo di pericolo: che, continuando a marcare i confini in questo modo, alla fine si scopra che la gran parte dell’umanità del 2016, e anche dei cattolici del 2016, non è «dentro» ma è «fuori» della Chiesa. A chi chiede dove siano oggi i confini, Francesco risponde proponendo un modello dove non ci sono confini o, se ci sono, si rinegoziamo continuamente sulla base delle situazioni individuali infinitamente diverse. Alla domanda: «Dove collochi esattamente la dogana?» Francesco aveva già risposto nella sua prima esortazione apostolica, del 2013, «Evangelii gaudium»: «La Chiesa non è una dogana».