Hanno ammazzato Anas. E con lui il sorriso dei bambini di Aleppo. Anas al Basha, era un ragazzo di 24 anni, volontario nell’associazione umanitaria Space for Hope, che vuol dire proprio “spazio per la speranza”. Faceva il clown ad Aleppo, per rendere meno insopportabile la vita ai bambini siriani. Un raid aereo dei siriani e dei russi sulla città lo ha ucciso per strada, proprio mentre si stava recando in una delle 12 scuole della città dove l’associazione presta quotidiano servizio, oltre ad alcuni centri che raccolgono i piccoli orfani di guerra. Sono 34 i volontari dell’associazione che, nonostante i rischi, rimangono vicini ai bambini traumatizzati dai bombardamenti, nonostante tutto e tutti.
Col suo cappellone giallo e la parrucca carota, Anas per tutti era il “clown di Aleppo”. Si era appena sposato. Non aveva seguito i genitori che l’estate scorsa erano fuggiti nelle campagne, proprio perché voleva stare accanto ai bimbi di Aleppo, per regalare loro qualche momento di gioia, in questo luogo che da cinque anni è diventato l’inferno del mondo. La responsabile del’associazione, Samar Hijazi commenta: “Era esausto, come tutti noi, ma continuava a combattere”. Senz’armi, se non quelle pacifiche del sorriso e dello scherzo.
Quando muore un clown, il mondo è un po’ più triste. Quando muore un clown, il sorriso di Dio s’adombra. Quando muore un clown, si ruba ai bambini un po’ del loro sacrosanto diritto all’infanzia.
Lo sanno i tantissimi minori che, in giro per il mondo, hanno la malasorte di esser nati in teatri di guerra, in zone di confini filospinati, rivendicati e combattuti. Lo sanno i tanti orfani che vagano tra macerie o che fuggono assieme a padri e madri da città in fiamme.
Lo sanno, per esempio, i bambini di Gaza, che hanno conosciuto Marco Rodari, anzi “Il Pimpa”, il giovane di Leggiuno, che da oltre dieci anni si tinge il naso di rosso e regala, assieme agli altri volontari dell’associazione varesina “I colori del sorriso”, un “leccalecca” di buon umore ai piccoli pazienti dell’ospedale St. Josef di Gerusalemme o quelli che frequentano l’unica parrocchia cattolica di Gaza.
Lo sanno le centinaia di “street boys”, i ragazzi delle fogne di Bucarest, che hanno incontrato Miloud, il clown franco-algerino, che dopo averli fatti ridere ha insegnato l’arte della clownerie, quale strumento di riscatto sociale, fondando l’associazione rumena “Parada”.
Lo sanno, ancora, i bambini terremotati di Haiti, quelli malati di aids in Cambogia, o sopravvissuti allo tzunami della Sri Lanka, che hanno visto le scenette esilaranti di Ginevra Sanguigno e Italo Bertolasi, allievi del grande medico americano, Patch Adams, inventore della clownterapia, che hanno fondato “Clown One Italia Onlus” e girano il mondo distribuendo sorrisi a chi ne ha tanto bisogno.
Per restare dentro i nostri confini, lo sanno i piccoli pazienti della pediatria di Lecce, che si sono imbattuti nelle funamboliche invenzioni di don Gianni Mattia, un prete, che assieme al clergyman ha messo anche il naso rosso, per portare “la gioia di Dio in corsia”. E lo sanno tutti i bambini che hanno incontrato in un qualche ospedale del mondo un pagliaccio in camice dal cuore grande quasi quanto le loro buffe scarpe, che ha strappato loro un sorriso.
Forse i clown non muoiono veramente. Forse vivono in ogni sorriso infantile, in ogni attimo di serenità rubato alla noia, al dolore o alla tragedia. Nella leggerezza che sconfigge l’alienazione. Anche Anas è lì, in mezzo a loro che gioca ancora. E fa “bau” al babau del Male.
Fonte: Famiglia Cristiana