E, a farne le spese sono state soprattutto le donne. Tra maschi e femmine, dal punto di vista anatomico, organico e funzionale, esistono steccati biologici che nessuna ideologia potrà mai colmare. A cominciare dalle cellule, ‘marcate’ in modo indelebile dalla femminilità e dalla mascolinità. E che, proprio per questo, rispondono in modo diverso alle situazioni di crisi. Paola Panina, ricercatrice del San Raffaele, ha portato l’esempio della carenza di zinco – fondamentale per la sintesi di alcune proteine – a cui le cellule femminili reagiscono in modo opposto. Anche la ricerca sull’invecchiamento, in particolare per alcune malattie neurodegenerative, dovrebbe tenere presente le differenze profonde con cui funzionano il cervello della donna e quello dell’uomo. Daniela Perani, docente di psicologia, ha messo in luce l’urgenza di un approccio diversificato nelle ricerche sulle neuroscienze.
Attenzione che diventa addirittura obbligatoria – come ha evidenziato la psichiatra Cristina Colombo – quando si approfondiscono le cause di una malattia prevalentemente femminile come la depressione maggiore (le donne colpite sono circa il doppio degli uomini). Eppure, fino agli anni Novanta, le terapie per le donne partivano da ricerche quasi esclusivamente condotte sugli uomini. Da qui, come ha messo in luce Maria Antonietta Volonté – che al San Raffaele svolge da 30 anni attività clinica – i problemi in cardiologia, con un mortalità femminile che risultava doppia rispetto a quella maschile soprattutto in caso di infarto.
Ma anche gli uomini hanno sopportato conseguenze non trascurabili a causa dell’omologazione della ricerca. Andrea Salonia, urologo, ha fatto il caso della disfunzione erettile, a lungo trascurata. Mentre il pediatra e endocrinologo Gianni Russo ha parlato delle alterazioni dello sviluppo sessuale, malattie rare che potrebbe beneficiare di nuove attenzione con un rafforzamento della ricerca di genere.
Fonte: Avvenire.it
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Interfaculty centre for gender studies