Oltre 215 milioni di cristiani perseguitati. Credenti in Cristo ancora nel mirino dell’estremismo islamico più violento, in Medio Oriente, Nordafrica e Africa Sub-Sahariana. Ma anche del crescente nazionalismo religioso – e induista e buddista – in espansione nel Sud-Est asiatico e nell’Asia Meridionale. Sono 50 i Paesi in cui un cristiano su tre è stato gravemente perseguitato, 1.207 sono stati assassinati e 1.329 chiesesono state attaccate.Duemila anni dopo le catacombe e gli sbranamenti nelle arene, la persecuzione contro i cristiani è più che mai una tragedia attuale, che insanguina un’ampia fascia di Stati che si estende da Ovest, in Mauritania, a Est, in Cina. È l’impressionante analisi della World Watch List 2017, prodotta dai ricercatori di Porte aperte, Ong evangelica internazionale fondata in Olanda negli anni 50. Il rapporto ha analizzato il periodo tra il primo novembre 2015 e il 31 ottobre 2016. Se complessivamente la tendenza è in peggioramento, si registra però un dato apparentemente positivo: i cristiani uccisi «per ragioni legate alla loro fede» sono stati 1.173 in un anno, contro i 7.100 dell’anno precedente.
Un calo da analizzare con cautela: il numero delle vittime in realtà potrebbe essere più alto, perché è sempre più difficile ottenere dati completi in situazioni di conflitto civile come Myanmar, Iraq e Siria, ma anche i monti Nuba in Sudan e gli Stati nella Middle Belt e il Nord della Nigeria (Ciad e Camerun compresi). Di sicuro la reazione militare del governo nigeriano contro Boko Haram in Nigeria ha limitato le devastanti azioni di sterminio contro villaggi cristiani, avvenute con più frequenza nel 2015. Anche l’avanzata del Daesh è stata fermata e ampie aree liberate. La gran parte dei cristiani minacciati nella regione peraltro era già fuggita nel corso del 2015 quando il Califfato si espandeva. I cristiani perseguitati comunque con ogni probabilità sono di più di 215 milioni, perché tra le 50 nazioni analizzate non ci sono comunque paesi a rischio come Uganda, Nepal, Azerbaigian, Kirghizistan, Niger, Cuba. Il rapporto si occupa per mandato delle aggressioni contro le diverse confessioni cristiane, ma quando le persecuzioni contro altri gruppi sono rilevanti, vengono menzionate all’interno del profilo del singolo paese (vedi i musulmani Rohingya in Myanmar).
La mappa delle persecuzioni calcola il punteggio di ogni Paese – definito «alto» tra 41 e 60, «molto alto» tra 61 e 80 ed «estremo» tra 81 e 100) – verificando la libertà dei cristiani in cinque ambiti: nel privato, in famiglia, nel-la comunità, nella chiesa, nella vita pubblica. I metodi di ricerca sono sottoposti a revisione indipendente da parte dell’Istituto internazionale per la libertà.
In Asia dunque la pressione anticristiana è in rapida crescita. In India il partito Bharatiya Janata infatti alimenta un pericoloso fervore nazionalista-religioso – «L’India agli indù» – accelerato da quando Modi è premier. Oltre all’India, persecuzioni anche in altri paesi asiaticicome Bangladesh, Laos, Bhutan, Vietnam. Pure lo Sri Lanka è nella lista nera percolpa del nazionalismo buddista.
Confermata l’aggressività dell’estremismo islamico, sia in Africa che in Asia: al-Shabaab in Somalia, Boko Haram in Nigeria, Daesh in Siria e Iraq. Ma anche paesi più stabili come il Pakistan, dove i cristiani sono perseguitati nei tribunali a causa della legge contro la blasfemia – vedi il caso di Asia Bibi – e dalle frange fanatiche della popolazione. Il Pakistan è infatti al 4° posto della classifica, seguito dal Sudan al 5° e preceduto dall’Afghanistan al 3°, dalla Somalia al secondo. Prima nella lista nera la Corea del Nord, in cima alla classifica ininterrottamente da ben 15 anni. Qui le chiese sono totalmente clandestine, perché il solo possesso di una Bibbia espone al rischio di condanna a morte interi nuclei familiari.
Fonte: Avvenire