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Il pane e gli occhiali. Rilettura del messaggio del Papa ai comunicatori

Il messaggio di papa Francesco per la 51ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali ci offre due immagini preziose, nella loro quotidiana semplicità, per parlare di comunicazione oggi. La prima, in apertura: i comunicatori macinano notizie e sfornano il pane dell’informazione. Una metafora quanto mai appropriata: non solo perché l’informazione è ‘buona’ solo il giorno in cui è prodotta, come il pane, ma soprattutto perché ormai non possiamo e non dobbiamo farne a meno, se vogliamo vivere in questo mondo in modo consapevole. La seconda è quella degli occhiali. Mi ha fatto venire in mente un quadro che amo molto: l’autoritratto di Rothko, del 1936, dove l’artista si raffigura con un paio di occhiali dalle lenti azzurrate.

Al di là dell’intenzione dell’autore, io interpreto l’opera così: l’artista, come ciascuno di noi, rappresenta la realtà non così com’è, ma come la vede. Ciascuno di noi vede attraverso delle lenti, che sono la lingua che parliamo, l’educazione che abbiamo ricevuto, le esperienze che ci hanno segnato, le categorie culturali della nostra epoca, la tradizione in cui ci riconosciamo. Prima ancora di capire quali occhiali indossare dobbiamo innanzitutto riconoscere che degli occhiali non si può fare a meno.

Questo naturalmente non significa che la realtà non esiste o che le realtà sono tante quanti sono gli sguardi: piuttosto, che la sua ricchezza non può essere esaurita da nessuno che pretenda di vedere le cose come sono. Solo la pluralità – lo scriveva Romano Guardini – rende ragione della ricchezza della realtà, che è una. Dunque entrambe le immagini ci dicono, tra le righe, una cosa: la comunicazione, l’informazione sono sempre ‘fatte’, sono inevitabilmente filtrate. In un certo senso, paradossalmente, non esistono notizie ‘vere’, se per vero intendiamo capace di restituire la realtà com’è, senza mediazione.

La notizia è sempre un artefatto, un manufatto. Non può essere diversamente, perché l’essere umano è un animale simbolico: non mangiamo il grano crudo, ma lo maciniamo, lo impastiamo, lo trasformiamo in pane. Allora facciamolo buono questo pane, facciamolo insieme, perché ci nutra e non ci avveleni. E le lenti? Diffidare di chi dice che non le porta. Ma quali scegliere? Il Papa ci dice di indossare le lenti del Vangelo, della buona notizia che Gesù ci ha portato con la sua persona in carne e ossa. Ricordo che in una delle meditazioni di Santa Marta papa Francesco aveva detto che «a volte le lenti per vedere Gesù sono le lacrime».

Senza nessun masochismo, credo che indossare occhiali che permettano di comunicare davvero significhi non distogliere gli occhi dalla sofferenza, e piangere con chi piange. Ci sono luoghi dell’esistenza dove il confine tra la vita e la morte è così sottile che il cuore pulsante della realtà sta lì, aperto e fragile, davanti a noi. È dove la vita si rende più manifesta, in tutta la sua profondità irriducibile. Questi luoghi sono ovunque, anche molto vicini. Non scappiamo, non giriamo la testa, affondiamo le mani in questa vita e ciò che diremo avrà un sapore di autenticità. Un’altra cosa mi ha colpito del messaggio: il richiamo a quelle ‘ristampe del Vangelo’, quei ‘canali viventi’ che sono le vite dei santi. È un aspetto sul quale mi pare il Papa insista molto: la comunicazione non la si fa con le strategie o le tecnologie, ma con la forza dell’esempio, capace di essere contagioso. Perché i valori, sottolinea Francesco, «sono compiuti particolarmente da alcune persone molto esemplari» ( Amoris laetitia 272). Nella sua concretezza, anche nei suoi limiti, la figura esemplare possiede una forza non autoritaria, una capacità di provocare che sollecita una trasformazione.

Gli esempi, scriveva Hannah Arendt, sono «i principali cartelli stradali in campo morale». Esempio: da eximere, tirar fuori. Non mettere dentro. Tirar fuori la capacità di ciascuno, che è assolutamente singolare e irrinunciabile, di contribuire al mondo in cui viviamo insieme, alimentandone la pluralità e la ricchezza. E tirar fuori da questa unicità singolare una validità universale, un messaggio che parli a tutti. Abbiamo bisogno di concretezza, di verità incarnata. E l’esempio interpella ciascuno nella sua unicità. Non c’è contraddizione, ma implicazione reciproca tra concreto e universale: è il «concreto vivente» di cui parla ancora Guardini. E Arendt scriveva che anche nei tempi più bui la luce non manca mai, ma non proviene dalle teorie e dai concetti, bensì da quella fiammella a volte appena percepibile che alcune donne e uomini, con la loro vita e il loro lavoro, sono capaci di tenere accesa per tutti.

Una figura esemplare è un compagno di viaggio. In fondo, le nostra decisioni sul bene e sul male dipendono molto dai compagni che ci scegliamo: con chi vogliamo stare in compagnia? Quali sono gli esempi con i quali vogliamo camminare insieme, e dialogare per sviluppare il nostro pensiero? Il Papa ha scelto san Francesco. Trovare una direzione, imparare a pensare confrontandosi con qualcosa che abbia valore sono vie per imparare a comunicare. Ben al di là di pessimismo e ottimismo, che come insegna Guardini, sono due modi di fraintendere l’essere. Perché comunicare è coltivare la nostra umanità. Una umanità, ancora con le parole di Guardini, cosciente del proprio significato e capace di futuro.

Fonte: Avvenire.it

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