peraltro estremamente potente, difficile da controllare e da comprendere a fondo, nel modo d’uso e nei suoi conseguenti effetti. Lo strumento ideale per comunicare, quindi, ma anche per ferire senza mostrare il proprio volto, per assumere un’identità “eterea” che, in un modo o nell’altro, finisce per riflettere comportamenti deprecabili, mascherati dallo schermo che, in quanto tale, costituisce un pretesto di disimpegno morale. Questo e molto altro alla base del fenomeno del cosiddetto “cyberbullismo”, diffuso fra gli adolescenti nostrani e, proprio in quanto prodotto della realtà virtuale, pericolosamente sottovalutato.
Una ricerca dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” ha evidenziato, attraverso lo strumento del Focus-Group fra studenti di età compresa fra i 15 e i 18 anni, un inquietante quadro di minimizzazione generale, equamente bilanciato fra la scarsa consapevolezza della potenza dei mezzi di comunicazione e la mancata percezione di quanto errata e pericolosa possa essere la pratica di diffondere insulti e denigrazioni via web. In effetti, per 8 ragazzi su 10, partendo da un campione di 1500 adolescenti, insultare o ridicolizzare qualcuno sfruttando la rete internet non costituisce un fatto grave. Men che meno risultano esserlo, a giudizio del 71% di loro, le conseguenze psico-sociali sui soggetti vessati. Si rende per questo necessaria una rieducazione, la ricostruzione di una percezione maggiormente consapevole del mezzo tecnologico, conoscendone a fondo i pro e i contro. E, proprio su questi aspetti, verte il progetto “Giovani ambasciatori contro il bullismo e il cyberbullismo, per un web più sicuro”, nato dalla collaborazione fra l’associazione “Moige” e la Polizia di Stato, insieme a Fondazione Vodafone Italia e Trend Micro, presentato in conferenza il 6 febbraio, presso l’Ufficio relazioni esterne e cerimoniale del Ministro dell’Interno, a Roma.
La nostra epoca storica, caratterizzata dalla quotidiana interazione fra uomo e macchina, rende infatti implicitamente necessaria una presa di coscienza su cause ed effetti del fenomeno del cyberbullismo: “Stiamo creando un futuro tessuto sociale molto strano – ha commentato Milly Carlucci, madrina dell’iniziativa -: dobbiamo chiederci se parliamo veramente con i nostri ragazzi, oppure se ci siamo un po’ stancati di questo e aspettiamo che lo faccia qualcun’altro. Sta cambiando molto il modo di crescere i nostri figli… La baby-sitter non può essere il tablet, perché sulla rete si trova di tutto, la cosa bella e la ‘cloaca’… Io sono preoccupata come madre… l’adolescenza, ad esempio, è un’età pericolosissima per lasciarli alla rete. Bisogna che queste campagne diventino una responsabilità nazionale. Credo che non sia troppo tardi per rimediare”.
Sull’uso responsabile della rete, ha concordato anche Roberto Sgalla, Direttore centrale delle specialità della P.S.: “Internet rappresenta prima di tutto una grande opportunità, ma va utilizzato in maniera responsabile per prevenire i possibili rischi e pericoli. Per la Polizia di stato la formazione è prevenzione: occorre costruire una rete educativa, perché libertà e sicurezza possono stare insieme. Serve però uno sforzo sinergico per educare alla conoscenza, perché i giovani imparino a navigare con prudenza e consapevolezza nel web”. Uno sforzo che, allo stesso tempo, coinvolga istituzione scolastica, genitori e aziende: “Nell’esercitazione del cyberbullismo, non si ha direttamente a che fare con la vittima – ha spiegato Carla Targa, Marketing & communications Manager trend Micro Italia -, quindi è più facile. La tecnologia va conosciuta e usata in modo opportuno”. Sulla stessa lunghezza d’onda Leone Vitali, della direzione Public Associations and Sustainability Vodafone Italia: “Dobbiamo riflettere come genitori e professionisti. A volte siamo proprio noi adulti a non dare il buon esempio: non possiamo prestarci a una demonizzazione dello strumento tecnologico, l’importante è che venga usato bene, che ci siano esempi positivi e che siano diffusi dai ragazzi fra i loro pari”.
Conoscere per usare: questo il senso dell’iniziativa di “Moige”, attraverso la quale verranno coinvolti 40.405 studenti e più di 80 mila tra docenti e genitori, presenti in 114 scuole medie di 15 regioni. Uno strumento semplice quanto efficace, per comprendere al meglio i rischi della rete e la consistenza del danno causato dall’insulto via web. Un fenomeno, questo, che va innanzitutto inquadrato in un contesto sociale in profondo mutamento, come quello odierno, capace di favorire comportamenti errati e, al contempo, di evidenziare lacune negli elementi basilari della formazione scolastica, dalla lettura alla scrittura, anche tra studenti universitari. A tal proposito, una rieducazione inversa, partendo dai valori della lettura e dello spazio immaginativo, potrebbe costituire uno strumento di distacco rispetto ai contenuti troppo spesso equivoci del web? Lo abbiamo chiesto alla professoressa Annamaria Giannini, coordinatrice della ricerca: “Di questo sono profondamente convinta. Da una nostra recente indagine, è emerso come il racconto ‘visto’ tenda a distrarre, al contrario di quello narrato, il quale lascia spazio alla costruzione del mondo immaginato. Questo perché la funzione simbolica, sviluppata dalla lettura e dall’immaginazione, aiuta la persona a sviluppare un senso di comprensione delle dinamiche relazionali, affettive e cognitive che è inibito dalla velocità dei tempi di comunicazione di un diaframma come la rete”. Un modo per spiegare come la fruizione immediata, spesso, tenda a equivocare i contenuti, aprendo spazi di interazione (e cognizione) limitati e, in qualche modo, poco corretti.
Fonte: InTerris.it