Nel saggio La nascita del Purgatorio lo storico Jacques Le Goff sostiene che il Purgatorio è un’invenzione della Chiesa tra il XII e XIII secolo per aumentare il proprio potere sulle coscienze degli uomini e sui suoi soldi. In un’intervista che sintetizza le tesi fondamentali del libro, rilasciata a Fabio Gambaro il 27 settembre 2005 per il quotidiano Repubblica, Le Goff afferma: «La nascita del Purgatorio modifica la giurisdizione esercitata sui morti, favorendo la pratica delle indulgenze. Secondo la dottrina tradizionale, gli uomini da vivi rispondevano al tribunale della Chiesa, una volta morti però erano giudicati solamente dal tribunale di Dio. Con il Purgatorio si crea una sorta di tribunale comune in cui intervengono sia Dio che la Chiesa. Le anime che vi transitano, infatti, continuano a dipendere da Dio, ma beneficiano anche dell’azione della Chiesa che distribuisce le indulgenze. Il Purgatorio, dunque, ha rinforzato il potere della struttura ecclesiastica, che così, oltre che dei vivi, è responsabile in parte anche dei morti. Una situazione che la Riforma protestante ha in seguito fermamente condannato. Per gli uomini del Medioevo però l’esistenza del Purgatorio accresceva le speranze di salvezza, dato che non tutto era definitivamente stabilito al momento della morte. Perfino per gli usurai, che fino ad allora erano irrimediabilmente condannati all’Inferno, inizia a profilarsi un aldilà meno cupo. Naturalmente vivere con tale speranza modifica radicalmente la prospettiva della vita quotidiana».
Quando è nata davvero la credenza nel Purgatorio? Cosa dice la Bibbia?
È radicata nella tradizione della Chiesa, nella fede tramandata dai cristiani attraverso i secoli o davvero si è diffusa solo tardivamente tra il XII e il XIII, come afferma l’illustre storico Le Goff? È davvero un’invenzione medioevale, non suffragata in alcun modo dai testi vetero e neo testamentari?
Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1030-1032) è chiaro al riguardo: «Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo. […] La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt’altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al purgatorio soprattutto nei Concili di Firenze (621) e di Trento. […] La Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, […] parla di un fuoco purificatore. […] Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, (625) affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti».
Il Catechismo riporta anche i passi fondamentali dell’Antico e del Nuovo Testamento in cui emerge l’esistenza del Purgatorio. Nel secondo Libro dei Maccabei si legge che Giuda fa raccogliere i cadaveri di quanti sono morti in battaglia perché vengano seppelliti. Sotto le tuniche di ciascuno vengono trovati «oggetti sacri agli idoli di Iamnia» proibiti ai Giudei. Per questo tutti iniziano a pregare supplicando il perdono dei peccati commessi. Raccolta poi una colletta, Giuda la invia a Gerusalemme per un sacrificio espiatorio per i peccati compiuti «suggerito dal pensiero della resurrezione». Questa è, infine, la riflessione sulla ragionevolezza del comportamento di Giuda: «Se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato. (2 Maccabei 12,43-45)».
Anche nel Nuovo testamento vi sono riferimenti ad un mondo di purificazione nell’aldilà, non identificabile nell’Inferno o nel Paradiso, intermedio tra i due, dove le anime espiano le colpe commesse in vita, certe di raggiungere il luogo dei beati. Ad esempio, leggiamo nel Vangelo di Matteo (12, 31-32): «Perciò io vi dico: qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo spirito non sarà perdonata né in questo secolo né in quello futuro».
Sant’Agostino, san Gregorio Magno, san Benedetto hanno interpretato concordi questo passo: i peccati, con l’esclusione di quello contro lo Spirito Santo, possono essere perdonati agli uomini con la preghiera e l’espiazione.
San Paolo poi scrive nella prima Lettera ai Corinzi: «Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera finirà bruciata, sarà punito; tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco» (Prima lettera ai Corinzi 3,10-17). San Paolo parla qui di un fuoco del Purgatorio grazie al quale l’anima raggiunge la purificazione e la salvezza, non quindi direttamente, subito dopo la morte, ma attraverso un cammino di espiazione.
La fede dei primi secoli
Il Purgatorio non è un’invenzione medioevale risalente al XII e al XIII secolo. Lo dimostra anche il fatto che già nei primi secoli fosse presente questa convinzione tra i cristiani. Tra la fine del I secolo e l’inizio del II è datato l’epitaffio di Abercio, cristiano, probabilmente vescovo di Ierapoli, che compone queste parole per la propria tomba prima di morire: «Queste cose dettai direttamente io, Abercio, quando avevo precisamente settantadue anni di età. Vedendole e comprendendole, preghi per Abercio». Chiara è qui la consapevolezza dell’importanza di pregare per l’anima del defunto, anche dopo la morte.
Il 7 marzo 203 muore martire Perpetua insieme ad altri cinque cristiani: Felicita, Revocato, Saturnino, Secundolo e Saturo. Perpetua lascia il suo diario in cui racconta, tra le altre cose, di una duplice visione che ha avuto sul fratello Dinocrate, morto a sette anni per un cancro che ha colpito il suo volto, deturpandolo. Nella prima visione Dinocrate esce da un luogo cupo dove vi sono tante altre persone, è «accaldato e assetato, sudicio e pallido», col volto ancora sfigurato per la malattia che l’ha ucciso. Dinocrate tenta invano di abbeverarsi ad una piscina per dissetare la sua sete. Perpetua prega per l’anima del fratello morto. Nella seconda visione Dinocrate appare a Perpetua completamente guarito, non più piagato e assetato, ma gioioso. Perpetua comprende che le preghiere hanno allievato le sue pene nell’aldilà: «Mi svegliai e compresi che la pena gli era stata rimessa».
Ancora nel III secolo d. C. Tertulliano scrive nel De corona: «Nel giorno anniversario facciamo preghiere per i defunti». L’affermazione dimostra la convinzione della chiesa primitiva della necessità di pregare per i defunti. Poi, nel De monogamia Tertulliano scrive: «La moglie sopravvissuta al marito offre preghiere per la gioia di suo marito nei giorni anniversari della sua morte».
Più tardi, nel IV secolo, nel Testamentum sant’Efrem il Siro (306-373) chiede di pregare per lui quando sarà morto: «Nel trigesimo della mia morte ricordatevi di me, fratelli, nella preghiera. I morti infatti ricevono aiuto dalla preghiera fatta dai vivi». I commentari biblici di sant’Efrem il Siro sono così stimati che vengono letti in alcune chiese, dopo la Sacra Bibbia. San Girolamo (347-419) ricorda, infatti, ne Gli uomini illustri (cap. XIV): «Efrem, Diacono della chiesa di Edessa, scrisse molte opere in siriano, e diventò così famoso che i suoi scritti sono letti pubblicamente in alcune chiese dopo le Sacre Scritture. Io ho letto in greco un suo volume sullo Spirito Santo; sebbene fosse solo una traduzione, vi ho riconosciuto il genio sublime dell’uomo».
Tra il IV e il V secolo, poi, sant’Agostino, uno dei più importanti Padri della Chiesa, annota nel commento al salmo 37: «Non vi è motivo, tuttavia, di dubitare che le anime dei defunti non traggano sollievo dalle preghiere dei congiunti ancora in vita, quando viene offerto per loro il Sacrificio del Mediatore o vengono distribuite elemosine in chiesa. Queste opere, però, servono soltanto a coloro che, da vivi, hanno meritato che esse possano loro servire più tardi. In effetti, esistono uomini la cui vita non è né abbastanza buona per non aver bisogno di tali suffragi postumi, né abbastanza cattiva perché essi non possano servire loro. Al contrario, ve ne sono che vissero abbastanza bene per poterne fare a meno, e altri che vissero abbastanza male per non poterne profittare dopo la morte. […] Anche se alcuni saranno salvati per mezzo del fuoco (nel Purgatorio), tale fuoco sarà più terribile di tutto quanto un uomo possa patire in questa vita».
Nel commento al salmo 31 sant’Agostino parla ancora del fuoco delle fiamme del Purgatorio: «Signore, dice egli, non mi punite nel vostro furore, e non rigettatemi con quelli ai quali direte: Andate al fuoco eterno; ma non punitemi nemmeno nella vostra collera: piuttosto purificatemi talmente in questa vita, da non aver bisogno d’esser purificato dal fuoco nell’altra. Sì, io temo questo fuoco, acceso per quelli che saranno salvati, è vero, ma che non lo saranno che passando prima pel fuoco».
Nella comunione dei santi, ribadisce ancora sant’Agostino, esiste un legame forte tra la chiesa militante (i vivi) e la chiesa purgante e trionfante, tanto che chi ci ha preceduto nell’aldilà prega per noi e per la nostra salvezza: «Tutti siamo peccatori; tutti conduciamo una vita nella quale si può peccare; da questa vita tutti noi ce ne dovremo andare. Giacché Dio sarà tanto misericordioso con te, quanto tu sarai stato misericordioso con il prossimo; tanto riceverai nell‘altra vita, quanto dai nella presente. Prega dunque per i defunti, affinché quando saranno nella vita eterna non dimentichino di pregare per te» (Sermone 44).
La devozione per le anime del Purgatorio
Nel VI secolo, a detta di san Pietro Faber, san Gregorio Magno è colui che diffonde maggiormente la devozione per le anime del Purgatorio. Nei Dialoghi san Gregorio racconta: «Passati 30 giorni dalla morte del monaco Giusto io provai un sentimento di compassione verso il povero defunto confratello; io pensai con grande dolore alle sue pene nel Purgatorio e pensai a un modo di liberarlo da esse, lo chiamai quindi Prezioso, il priore nostro monastero, e pieno di dolore gli dissi: “È da molto tempo ormai che il defunto confratello è tormentato nel Purgatorio; noi dovremmo offrirgli un’opera di carità, per quanto possiamo per liberarlo dalle sue pene. Perciò va, e offri per lui per 30 giorni consecutivi il santo sacrificio della Messa, in modo che non ci sia un giorno in cui non sia celebrata per lui la s. Messa”».
Giusto compare più tardi in sogno al fratello carnale Copioso rivelandogli che era stato finalmente accolto in Paradiso, dopo tante sofferenze. Appresa la notizia, i frati calcolano il giorno preciso della visione e scoprono che essa è avvenuta trenta giorni dopo la celebrazione della santa Messa. Da qui si diffonde l’uso delle sante Messe gregoriane, trenta messe celebrate per trenta giorni consecutivi nella speranza che l’anima, liberata dalla schiavitù del peccato, possa finalmente accedere al Paradiso.
Sempre nei Dialoghi, nel trentanovesimo capitolo, san Gregorio Magno scrive: «Questo si deve sapere che là nel Purgatorio nessuno può ottenere nemmeno la remissione dei più piccoli peccati veniali, se qui sulla terra non lo ha prima meritato con le opere buone! Nessuno riceve, se prima non ha dato!».
Non occorre proseguire oltre in questo percorso sulla credenza nel Purgatorio nei primi secoli. La tesi di Le Goff, più che derivare da documenti, fonti e ricerche, proviene da una posizione ideologica e da un pregiudizio sul Medioevo e sulla Chiesa. Appare chiaro come fin da subito nella Chiesa ci fosse la convinzione che le anime dei defunti che non fossero ancora pure per salire in Paradiso dovessero purificarsi nell’aldilà. Nel 741 Papa San Gregorio III scrive a proposito delle offerte per le intenzioni delle Sante Messe: «La Santa Chiesa ritiene che chiunque può dare offerte per i defunti che furono cristiani, perché il sacerdote ne faccia memoria. Dal momento che tutti commettiamo peccati, è opportuno che il sacerdote faccia memoria dei cristiani morti e interceda per loro».
Certamente, l’iconografia relativa al Purgatorio si sviluppa tra il XII e il XIII secolo attraverso la letteratura e si diffonde enormemente grazie alla Commedia dantesca. Ma questa è tutt’altra questione che non confuta in alcun modo quanto dimostrato fin qui.
Fonte: Il Purgatorio è un’invenzione medioevale? | Tempi.it