Guardare materiale pornografico è diventata la normalità, il consumo negli ultimi anni è aumentato in maniera esponenziale tra i giovanissimi, a causa dell’estrema facilità attraverso la quale un minore dotato di smartphone e connessione web può con un clic accedere e visionare una illimitata quantità di pornografia, gratis e in maniera anonima. Per molti questo non rappresenta un problema e neppure una seria emergenza da affrontare, ma anzi è un vessillo di libertà, mentre per altri è segno di una schiavitù moderna terribile che crea danni gravissimi soprattutto negli adolescenti, spesso poco più che bambini, che se ne abbeverano. La pornografia deforma la sessualità, la falsifica, la snatura e la “pompa”. I ragazzi vengono “educati” a un tipo di sessualità irreale, degradante, storpiata, violenta ed esclusivamente genitale. La bellezza della sessualità è così svilita, ridotta a pezzi di corpi, anzi, pezzi di carni, in una ricerca meccanica di piacere dove non esiste relazione, ma solo zone erogene.
Il coraggioso libro della sessuologa belga laica Thérèse Hargot “Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)” uscito in Italia per i tipi di Sonzogno, tradotto da Giovanni Marcotullio, ha il merito, tra gli altri, di affrontare nel primo capitolo la questione legata all’esposizione, anzi, alla sovraesposizione di bambini e ragazzi a materiale pornografico. La giovane autrice, moglie e madre di tre figli, lavora da più di dieci anni nelle scuole nel campo dell’educazione alla vita affettiva, relazionale e sessuale degli adolescenti.
La liberazione sessuale conquistata negli anni Sessanta, scrive Thérèse Hargot, non ci ha reso davvero liberi, ma ci ha portato ad obbedire ad altri divieti che paradossalmente ci hanno imprigionati più di prima. Vivere e misurarsi con la sessualità in età precoce, l’accesso al porno che genera ansia da prestazione (perché se il sesso è quello che mostrano i filmetti, come si può non provare timore e apprensione?), l’ossessione per l’orientamento sessuale… creano nei più giovani (ma spesso anche negli adulti) infelicità, frustrazione, insicurezza ed incapacità di relazionarsi davvero con l’altro. Perché “per stare con qualcuno bisogna innanzitutto essere qualcuno”, c’è bisogno “di diventare se stessi per essere capaci di entrare in relazione con gli altri”.
I NIPOTINI DELLA RIVOLUZIONE SESSUALE: UNA GENERAZIONE DI ANGOSCIATI
La sessuologa riporta nel libro numerose testimonianze di ragazzi che ha seguito ed incontrato durante la sua esperienza decennale nei grandi licei del Belgio, di Parigi e New York. A cinquant’anni dalla rivoluzione sessuale che ha emancipato noi donne occidentali e ci ha liberate dai tabù, autorizzando la contraccezione e l’aborto, non c’è da essere orgogliose del sistema in cui viviamo, che in realtà ci ha in parte solo “piegate” alle logiche più consumistiche e maschili.
«(…) Quando sento dei ragazzi paragonare le donne a merci in vendita, non sono affatto certa di voler glorificare il nostro modello occidentale. D’accordo, non le scambiano con dei cammelli, ma solo perché non ne hanno bisogno: le ragazzine offrono servizi sessuali di loro spontanea volontà, in fondo al corridoio nei bagni della scuola. Dopo tanti anni, si sarebbe potuto sperare che “peace” e “love” regnassero tra i giovani. Ma… come dire, non sono esattamente questi i termini che qualificano al meglio la mia generazione. In fondo, non c’è da stupirsene. Ci mettono addosso una paura fottuta dell’Aids fin da quando siamo in fasce. Siamo ingozzati di immagini sessuali, allattati alla tettarella della pornografia – e grazie tante per l’ansia! La pillola ha menomato alcune delle nostre contemporanee. Oh, niente di grave, soltanto qualche scherzetto cardio-vascolare che ha lasciato en passant paralisi, afasia ed epilessia nel migliore dei casi. Non aver ancora contratto una malattia o un’infezione sessualmente trasmissibile ha quasi del miracoloso. (…) Fin da quando siamo piccolissimi, da un lato siamo bombardati da pubblicità con donne ultrasexy che provocano costantemente le nostre pulsioni sessuali; e dall’altro ci viene ammannita una narrazione femminista che ci esorta a non trattare le donne – o a non lasciarsi trattare, in quanto donne – da oggetti sessuali. Bisogna realizzarsi nella vita professionale, realizzarsi in quella sessuale, realizzarsi nella coppia, realizzarsi nel bambino, perché bisogna realizzarsi nell’essere felici – sì, essere felici è nostro dovere. E allora no, non siamo “peace”, e tantomeno “love”: siamo una generazione di angosciati».
«L’ATTO SESSUALE È ALLORA UNA MASTURBAZIONE, ALLE VOLTE RECIPROCA… CON UN PO’ DI FORTUNA»
L’autrice racconta che alla sua domanda sul perché si hanno rapporti sessuali, i suoi alunni rispondono senza indugiare: “Per il piacere”. Perché? Perché sono stati educati dalla pornografia. Agli adulti piace pensare che gli adolescenti la ricerchino per soddisfare le loro normali curiosità, mentre per molti ragazzi l’incontro con il porno, come emerge dai racconti ascoltati dall’autrice, è stata un’esperienza “inflitta da un altro, volontariamente o involontariamente. In questi casi sono immagini imposte a uno spirito che non ne formulava il desiderio. C’è una specie di stupro, uno stupro dell’immaginario”. La cultura sessuale occidentale, libera dalla morale cristiana tradizionale, è schiava di un’altra morale: quella del godimento mostrato dall’industria del porno.
«Quando si nasce con il diritto alla contraccezione e all’aborto, il “godete senza problemi!” non è più un’idea astratta. (…) Confinando le donne in uno stato d’infertilità, la contraccezione ormonale ha permesso di svincolarsi dall’imperativo divino “siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela” e da qualunque responsabilità. Ma ha lasciato posto a un nuovo imperativo: godere. Non soltanto si è passati dal “dovere di riprodursi” al “dovere di godere”, ma in più il corpo femminile è ormai permanentemente disponibile per procurare e ricevere piacere sessuale senza il rischio di una nascita (o quasi). (…) ponendo il piacere come fine della sessualità, il corpo diventa di fatto uno strumento di godimento per sé, per l’altro. L’atto sessuale è allora una masturbazione, alle volte reciproca… con un po’ di fortuna…».
La dipendenza dalla pornografia, la crescente tendenza all’astinenza, l’ansia da prestazione, la delusione e l’insoddisfazione sessuale, le disfunzioni sessuali, sono solo alcune delle conseguenze che il porno ha generato da quando la sua diffusione e la facilità di accesso ai suoi contenuti è divenuta pressoché illimitata.
DA DOVE RIPARTIRE PER RIEDUCARE I GIOVANI AI TEMPI DEL PORNO?
Ripartire dalla persona, i giovani non hanno bisogno di sapere altro sul sesso (ne sanno oltremodo e smisuratamente), ma di crescere (senza inutili ansie), formarsi, conoscersi, appassionarsi a cose grandi. Thérèse Hargot nella conclusione scrive infatti che si augura che i suoi figli “siano lasciati in pace con il sesso”.
PERCHÉ NON VIENE TROVATA UNA SOLUZIONE PRATICA PER PROTEGGERE I BAMBINI E GLI ADOLESCENTI DALL’INVASIONE DELLA PORNOGRAFIA?
«(…)bisognerà pure che le autorità si decidano a condurre un’azione forte contro l’accessibilità dei siti pornografici da parte dei minori. (…) Ah, mi dicono che non è un problema tecnico ma simbolico: non possiamo finire, nonostante tutto, con il restringere le libertà! Ma quali libertà? Di quelli che ne consumano senza volerlo o di quelli che si arricchiscono rendendo dipendenti i primi? Gli adulti non si sentono in diritto di condannare il consumo di pornografia da parte dei minori perché la faccenda riguarda anche loro. Non si sentono in diritto di denunciare le conseguenze sugli adolescenti perché non vogliono immaginare che la cosa possa avere effetti negativi sulla propria vita. Non si sentono in diritto di limitare l’accesso ai siti pornografici perché questi sono concepiti apposta per loro. Non si sentono in diritto di denunciare l’abuso dei cellulari da parte degli adolescenti perché sono loro che glieli hanno messi in mano. Non si sentono in diritto di denunciare la visione della sessualità veicolata dalla pornografia perché hanno strombazzato le virtù di una sessualità liberata da tutte le proibizioni e pilotata dalla ricerca del piacere. Non si sentono in diritto di agire perché sono totalmente complici. Ma il ballo degli ipocriti non è durato abbastanza?».
Ultimamente non si parla d’altro che di corsi di orientamento all’affettività, di educazione sessuale e di rispetto delle differenze di genere. Senza voler fare polemiche, mi viene da pensare: non sarebbe più urgente occuparsi dei giovani che attingono dalla fonte avvelenata della pornografia? Un’industria commerciale che pensa al guadagno e non al benessere e alla salute dei ragazzi, come può essere la loro prima e spesso unica sorgente di conoscenza e informazione sulla sessualità? Il dottor Marco Scicchitano, psicoterapeuta e promotore del Progetto Pioneer, ha recentemente espresso in un post la sua opinione in merito all’idea di Mario Adinolfi (ispirata dalla lettura del libro di Thérèse Hargot) di bloccare i siti porno in Italia. Scicchitano parlando del fenomeno dello “stupro virtuale” ha associato la violenza e la brutalità del linguaggio (usato da alcuni ragazzi in gruppi privati su Facebook , dove gli iscritti pubblicano foto di ignare ragazze per insultarle senza alcun freno) al “bacino semantico” della pornografia, appreso dai film porno:
«Il luogo dove questi uomini (sono gruppi di uomini) hanno imparato queste parole e questo modo di fomentarsi a vicenda nella dinamica tipica del branco, è lo stesso dove hanno imparato a guardare la donna in quel modo, a considerarla disponibile, anzi a considerarla strumento di scarica di pulsioni che non sono solo sessuali, ma anche aggressive e spesso patologiche. I video porno, i portali del video porno. Mi viene in mente il bellissimo film “Lo chiamavano Jeeg Robot” con quella tenera e straziante scena del primo incontro intimo tra i due protagonisti. Un amore dolce, segnato dalla compassione e dalla dolcezza, dal desiderio e dalla protezione, che quando finalmente dovrebbe sbocciare nell’incontro dei corpi, decade e svilisce a causa della brutalità con cui il ragazzo è abituato a vivere e concepire la sessualità. Atteggiamento imparato guardando i video porno. “scusami”, dice poi alla ragazza rimasta interdetta “non so amare, insegnami tu”». (Marco Scicchitano)
Ascoltiamo questo grido.
Fonte: Aleteia.org