Il libro di padre Mauro-Giuseppe Lepori presentato nella Capitale, alla Lateranense. Con l’abate svizzero c’erano l’editore Cantagalli e il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
È stato il livre de chevet che padre Romano Scalfi ha letto, sottolineato e meditato negli ultimi giorni della sua vita terrena. Si vive solo per morire?, uscito per i tipi dell’editore senese Cantagalli l’estate scorsa, raccoglie lezioni e conferenze di padre Mauro-Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine cistercense. Il titolo – tecnicamente “sbagliato” secondo gli esperti di marketing, perché contiene la parola respingente per antonomasia – fa capire l’intenzione esplicita di trattare frontalmente un tema spesso rimosso, inaugurando una serie, con la collana “A caccia di Dio”, che raccoglie e rilancia la sfida di intercettare il bisogno di significato dell’uomo contemporaneo.
Una lettura «che vi farà bene» ha detto con semplicità Pierangelo Sequeri introducendo, insieme all’editore, David Cantagalli, l’incontro di presentazione che si è tenuto il 24 febbraio scorso alla Pontificia Università Lateranense di Roma, lasciando la parola all’autore e al cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Entrambi hanno colto l’occasione per ricordare la figura e l’opera del fondatore di Russia Cristiana. Sapere che Scalfi è stato accompagnato all’incontro definitivo con l’Eterno dalle sue meditazioni è «un fatto che mi ha riempito di silenzio davanti al Mistero», ha detto padre Lepori: «Spesso è proprio attraverso la lettura degli altri che ho capito i miei libri. E ho capito soprattutto che non sono miei».
Dio usa tutto, ha aggiunto Cantagalli, anche le nostre passioni; perfino le nostre debolezze: «L’immagine della caccia a me richiama il profilo di Brino, stupendo setter inglese, quando si ferma immobile in presenza della preda, come bloccato, intuendo una presenza. Mi è sembrata una bella immagine della conversione. La fede in fondo nasce scoprendo segni che indicano una strada. La beccaccia, simbolo di questa nuova collana, si invola ma è presente, rintracciabile, inseguita dalla meraviglia di Brino e del cacciatore».
Le domande più grandi e profonde nascono sempre dalla vita “normale”, da fatti concreti: il titolo del libro nasce da quella di una ragazzina di dodici anni, che era andata a trovare con la mamma il nonno gravemente malato. Una domanda da prendere sul serio, da non archiviare in fretta, resistendo alla tentazione di distogliere lo sguardo dallo sgomento che ci comunica l’esperienza del limite. «Mentre la cultura moderna cerca di censurare la morte, ma non smette di farne spettacolo, san Benedetto nella sua Regola raccomanda di “tenerla d’occhio” ogni giorno, “suspectam habere”», ha detto ancora Lepori: «Poche righe prima si era rivolto a chi desidera la vita e la felicità con passione, con tutta la bramosia dello spirito. Il termine che usa è proprio “concupiscentia”. Il nostro mondo invece teme la morte senza amare la vita». C’è bisogno di una continua educazione dello sguardo, di «educare a vedere l’invisibile, come Mosè».
Nella nostra epoca, ha continuato sullo stesso tema il cardinale Müller, subiamo le conseguenze del lento «sgretolamento del senso della vita e della morte», e del continuo sforzo di sezionare e dissociare l’uno dall’altro tutti gli aspetti più importanti della nostra esistenza, ridotta alle categorie di produttività e redditività. Il processo anestetico delle coscienze viene attuato in molti modi. «Il cuore è fatto per desiderare l’eternità ma questo desiderio viene messo a tacere, ci cerca di soffocarlo drogandolo di “tutto e subito”». L’homo sapiens è diventato un homo faber impegnato a trasformare le cose alla ricerca di un benessere solo materiale. Per questo «la morte viene vista come la soglia prima della caduta nel nulla, la massima distanza possibile dall’amore». E si cerca di evitare il problema perché è la più radicale negazione dell’autosufficienza dell’uomo contemporaneo. La conseguenza di questa rimozione è «una continua condanna alla contingenza e alla precarietà», l’accontentarsi del sopravvivere, senza vivere davvero. Perdiamo un’occasione di vivere consapevolmente e intensamente, come ci ricordano i martiri con la loro testimonianza. Il martire, ha proseguito Müller, «ama la vita fino a morire, fino a fare della propria scelta un evento di vita che contraddice la mentalità del mondo, la più grande rivoluzione culturale che si possa fare».
Per gli adulti, ha proseguito ancora padre Lepori ricordando la scomparsa della nonna durante la sua infanzia, la persona che gli aveva fatto conoscere Gesù, la morte è diventato un tabù innominabile, ma «incontrare per sempre chi si ama è una cosa bella, piena di gioia. I bambini non fanno fatica a capirlo». Ed è così che si capisce anche cos’è la missione: «Poter vivere tutto con Cristo e poter vivere Cristo con tutti».
A fine incontro, in molti sui social hanno commentato le parole di padre Lepori con un aforisma già in formato tweet: «Di solito si pensa a come allungare la vita; invece dovremmo preoccuparci di allargarla».
Fonte: Tracce.it