A sentirla al telefono sembra una “ragazzina”, ma in realtà Suor Raffaella Spiezio, Presidente della Fondazione Caritas di Livorno e di recente anche Direttrice della stessa Caritas diocesana, di anni ne ha 40. E’ una suora delle Figlie della Carità, e quando ben 6 anni fa il suo Vescovo chiedeva alle Figlie della Carità un nome per rinnovare la Fondazione, la sua superiora ha scelto lei. “La mia missione è stata accogliere questo invito da parte della mia comunità e del vescovo” dice lei, che – in realtà – sperava di andare in missione. Il Signore ha scelto diversamente evidentemente: “Io ho una formazione prettamente pastorale, ho una laurea in Scienze dell’Educazione, e volevo andare in missione, non avevo molta voglia di finire in un ufficio, e invece il Signore…” appunto. Nel frattempo Suor Raffaella ci ha messo tutta se stessa e di cose a Livorno, provincia niente affatto ricca della Toscana, ne ha fatte. Con le aziende ha costruito rapporti di fiducia e partenariato, a volte un po’ di problemi li ha quando i preti devono trattare con lei che prete non è, ma in 6 anni la stima della comunità è cresciuta con la crescita delle attività da lei dirette. Anche lei, l’anno scorso, ha fatto la Scuola di Management Pastorale presso la Pontificia Università Lateranense, sempre con lo “zampino” (si fa per dire) del suo Vescovo, monsignor Simone Giusti, che glielo ha proposto…
Suor Raffaella, perché la Scuola?
Per me è stata una cosa provvedenziale. La Caritas in questi anni è cresciuta molto, siamo passati da 4 a 40 dipendenti tanto per dirne una, e abbiamo aumentato anche il numero di progetti e servizi che mettiamo a disposizione. Il vescovo mi ha girato la lettera della Scuola e io l’ho trovata interessante e l’ho chiesto alla mia provinciale che vedendomi motivata ha accettato a mandarmi a Roma.
Ma lei veniva già da una bella esperienza di management…
E’ vero. Ma la Scuola mi ha dato un ordine alle cose che ho imparato sulla mia pelle e con le esperienze. Imparare a gestire meglio le risorse. Più si cresce in una opera, più mi rendo conto che le cose possono sfuggire di mano. Il rischio che si possa perdere qualcosa della dimensione pastorale della Caritas esiste, ma la Scuola mi ha aiutato proprio nella dimensione pastorale del mio servizio. Quando sono arrivata il bilancio era di 400 mila euro, ora siamo riusciti a portarlo a 1.8 milioni, quasi tutto frutto di fundraising e donazioni, solo una piccola parte viene dall’8 per 1000. Col corso mi sto interrogando di più sul significato pastorale di quello che facciamo. Anche in Caritas dove ho scelto di dare anche degli spazi di autonomia per chi lavora e un percorso di preghiera per crescere insieme settimanalmente. A questo si aggiunge un piccolo ritiro una volta al mese: lasciamo tutto in mano ai volontari e andiamo in una casa sul mare che è della Caritas lì facciamo messa insieme, preghiera, cresciamo nella fede e troviamo così nuovi spunti per il nostro servizio. Perché è da lì che viene tutto e non possiamo trascurare questo aspetto…
Ci sono altre Figlie della Carità che seguiranno la Scuola?
Intanto porterò al Festival della Creatività alcune consorelle, poi vedremo…
Ci racconta qualcuno dei progetti in Caritas?
Prima che un progetto diventi davvero servizio passa del tempo, bisogna affinare bene le cose per farle funzionare. Una delle cose nuove che abbiamo introdotto è stata la Scuola dei Mestieri, in una zona che è povera di sapere e di lavoro, abbiamo provato a dare una mano a chi il lavoro lo perde e fargli scoprire un nuovo talento, insegnando in maniera informale nuove capacità. In futuro speriamo di poter attivare corsi certificati. L’anno prossimo proveremo a far partire un catering solidale che possa dare una possibilità in più a chi ne ha bisogno, per lavorare. Ci sono tanti corsi portati avanti da volontari-Mastri che insegnano, e che poi sono coadiuvati grazie ai ragazzi del Servizio Civile Nazionale. Aiutiamo col microcredito – se possibile – a far partire piccole start up individuali di chi può ricominciare un percorso lavorativo in proprio. In tutto questo è centrale il discorso della socialità, del costruire legami di solidarietà e amicizia. Spesso chi perde il lavoro, perde anche il proprio contesto nella comunità, specie gli uomini, se non lavorano si sentono manchevoli verso la famiglia e rischiano la depressione. L’aiuto passa anche dal non lasciare sole le persone. E poi c’è l’esperimento della “borsa-lavoro”…
In cosa consiste?
Noi in pratica paghiamo un periodo di prova di 6 mesi in una azienda, provvedendo noi allo stipendio, con la speranza che poi – avendo la possibilità di farsi conoscere – il lavoratore venga assunto. Naturalmente cerchiamo anche di vigilare sul fatto che non se ne approfitti, sperando di trovare manodopera a costo zero…
Cos’altro?
Abbiamo una bellissima esperienza di Casa famiglia per bambini da 0 a 8 anni senza genitori che è anche una delle ultime iniziative aperte, e abbiamo un progetto di aiuto per i senza fissa dimora, andiamo noi da loro con un camper, portiamo presso di loro aiuti e servizi, oltre naturalmente al contatto e a una presenza che non vuole interrompere il dialogo con queste persone, non lasciarle nell’isolamento.
Come vorrebbe che fosse la Chiesa del domani?
Desidero una Chiesa che restituisca il messaggio vero di Cristo, perché non sempre riusciamo a far conoscere la gioia vera. Il contatto con i fragili ti fa riconoscere come fragile e questo è importante, ma tutto questo, la carità, è il modo con cui ti avvicini al prossimo e gli fai sperimentare l’amore di Cristo, poi c’è la pastorale, la preghiera, il costruire una comunità che è il cuore.
Fonte: Aleteia.org