Una donna rincasa dal lavoro. La scena che si trova innanzi è da brividi: le hanno ammazzato il marito con un colpo di fucile. Una mamma, mentre torna a casa, viene raggiunta da una notizia-choc: suo figlio è stato arrestato per aver ammazzato un uomo con un fucile. La moglie, di fronte al marito-morto, urla con disperazione: “Chiedo sia fatta giustizia con chi ha ammazzato mio marito!” La mamma, straziata per il gesto omicida del figlio, supplica d’essere creduta: “Ha fatto una cosa turpe, ma non è un assassino. Aiutatemi ad aiutarlo!” Due donne che ragionano così, di fronte alla tragedia misteriosa del male, le abbiamo udite tutti nella vita. Anche preso le difese: di una parte, dell’altra, tutto così netto. La faccenda, però, s’aggroviglia quando nella stessa donna s’incrociano i destini di due vicende: il marito che lei piange è stato ucciso dal figlio, quello per il quale lei invoca la carità della pietà. E’ successo a Padova, prima cintura urbana: una famiglia è scartavetrata dal gesto inatteso di un figlio che, armato, ammazza il papà. Il disappunto è proporzionale allo stupore. Nessuna ruspa, solo silenzio.
In quella donna, non c’è fatica nel crederci, la vita è invecchiata tutta d’un tratto di dieci anni: forse la vita è invecchiata fino alla vecchiaia. Come fare per sfogare tutta quell’angoscia mortale che attanaglia il cuore di una madre, anche di una sposa, nell’attimo in cui avverte che il mistero diabolico del male era tutto dentro casa? Non potrà chiedere vendetta per l’autore del reato: è pur sempre suo figlio. Non può nemmeno non provare rabbia per essere rimasta vedova ad un’età in cui certi amori maturano appieno. Ci penso, la penso: pur vivendo tra le gabbie delle prigioni, certe scenografie del male non smettono di stupirmi per la loro fantasia. Per quel loro muto nascondersi dietro le facciate impeccabili di vite agiate, di vetrate pulite, di storie esteticamente inappuntabili. Padova, negli stessi giorni anche Trento: anche lì una donna è rimasta sola, carcerata in un muto dolore orripilante. Le hanno ammazzato i due bambini: è uno strazio. Il responsabile del gesto è suo marito, il papà dei bambini: si è ammazzato anche lui. Anche là, dentro una vita falsamente agiata, il male s’era infilato come una freccia tra i cavalloni marini: “Non l’avrei mai detto – commenta un loro vicino di casa -, sembravano la famiglia del Mulino Bianco”. Sono rimaste, in entrambe le città, due donne a camminare tra le macerie: fra qualche giorno s’incoloneranno verso il cimitero, c’è un rito di pietà da compiere. Una di loro, appena rincasata, inizierà un altro corteo funebre, verso il cimitero-dei-vivi: andrà, mater-dolorosa, a stringere la carne di quel figlio ingabbiato dentro una condanna pesantissima.
Capire come ripartire è da brividi. C’è gente che, per risollevarsi, s’attacca al bisogno della vendetta, non fisica almeno giudiziaria: che almeno qualcuno paghi con la stessa moneta con cui ha lasciato un debito. Stavolta, a Padova, la vendetta verso l’autore non farebbe che aggravare la solitudine: perso il marito, a quella donna verrebbe strappato anche il figlio. Chissà come si potrà ripartire: dove andare ad attingere delle lacrime per bagnarsi la ferita. Come porgere una domanda a chi, appena fuori, ha già sfornato tutte le risposte, con ogni possibile variante, variabile, variazione. “Sono donne, vedrai che se la caveranno. Nelle donne vive una forza misteriosa, inimmaginabile”. Per un’inspiegabile roulette di male, anche stavolta, come sul primo Golgota, gli uomini sono tutti scomparsi: a tenere su la città sono rimaste le donne. Le uniche che, perduto tutto, trovano la forza di tornare a casa, riprendere in mano le pagine-scritte e andare a snidare quei piccoli particolari dove la presenza del male s’era nascosta. “Ormai è tardi” penserà la gente. Per una di loro, almeno, scovarli sarà come trovare forza per andare a stringere il figlio e riprendere il cammino. “Dovresti essere mamma per capire certe cose”. Rido quando mia mamma mi ripete questa frase: oggi no.
Fonte: Marco Pozza – Sulla Strada di Emmaus