La fede nel quotidiano la vivo incastrando pezzi di messa tra un asilo e un’intervista, recitando il rosario mentre mi trucco al semaforo, con due dita sul grano di legno e tre sul volante (spero che nessun vigile stia leggendo), dicendo l’ufficio delle letture a tardissima notte, nella vaga speranza di essere in sintonia almeno con qualche fedele, che ne so, a Tegucigalpa, perché probabilmente quelli più vicino a me si stanno già preparando a dire le lodi del giorno dopo, ma com’è che sono sempre in ritardo?
Così cerco di alimentare un rapporto vivo e personale con Gesù Cristo, punto d’Archimede della storia, unico ponte verso la presenza santa e inaccessibile di Dio. Per arrivare prima passo per Maria, che siccome è la mia mamma è molto comprensiva nei confronti della mia preghiera stanca incompleta distratta. Io lo so perché sono una mamma anche io.
Chi vive nel mondo deve vivere la sua fede dividendosi in continuazione: insieme alle esigenze spirituali c’è la famiglia, quindi il marito e i figli, c’è il lavoro, che sia in casa o fuori (nel mio caso è fuori, sono giornalista), ci sono tutte le incombenze che tutti sappiamo, che sembrano moltiplicarsi ogni volta che apriamo l’agenda, è per questo che qualche giorno io la tengo saggiamente chiusa, anche se l’ufficio postale sembra non apprezzare la mia calma saggezza, e dopo un po’ che non ritiro i pacchi li rispedisce al mittente, invece che portarmeli a casa con un bel mazzo di fiori.
Noi laici nel mondo, e in particolare, consentitemelo, noi donne plurimamme monomogli multilavoratrici aspiranti clienti di parrucchiere, dobbiamo combattere non solo con il nostro egoismo come può fare chi sceglie la vita consacrata, e ha una via sola da percorrere, nell’eroico sacrificio totale di sé. Noi dobbiamo rendere conto di noi stesse al marito, ai figli, al capo, alle maestre, al signore dell’Inps e via dicendo, e magari a volte anche a noi stesse, se possibile, mantenendo anche per noi una piccola dose di tempo, quel poco che ci consenta di non perderci totalmente di vista mentre ci sbricioliamo, lasciandoci mangiare dalla vita a cui siamo state chiamate.
Tutto questo si può fare, se si mantiene saldo il centro della vita in Dio.
Probabilmente dall’esterno a volte la nostra vita di fede potrà non risultare sempre evidentissima, non del tutto almeno. Da davanti sembrerà un normale ricamo, anche abbastanza armonioso, ma bisognerà voltarlo per riuscire a vedere i fili del ricamo penzolanti, intrecciati, annodati. Sono la fatica che facciamo per cercare di tenere insieme la nostra vita normale, senza dimenticarci di Dio.
La differenza tra chi crede e e chi non crede a volte è in gesti concreti, grandi, profetici. Altre volte, più spesso, è meno percettibile. È più in una direzione che si dà al senso di marcia, che nella marcia stessa.
Non so se conoscete come è fatto il Grande Raccordo Anulare che circonda Roma: un grosso anello, due strade, a tre corsie ciascuna, che vanno in due sensi di marcia opposti. Ci sono le uscite per entrare dentro Roma da tutti i punti da cui la si voglia prendere, e ci sono le uscite per andare fuori città, verso altre strade e autostrade. Secondo il mio padre spirituale, è lui che mi ha suggerito questa immagine, è come se tanta gente percorresse per buona parte della sua vita il Raccordo senza avere una direzione precisa a cui puntare. Vanno un po’ avanti, poi si fermano all’autogrill per un caffè, poi cercano un buon ristorante, poi ancora cercano una piazzola per un sonnellino. E continuano a girare in tondo senza meta. Non sanno neanche se vogliono andare a Milano o a Napoli. Magari a un certo punto finisce che, guida guida, vedono la Madonnina splendere dalle guglie del Duomo, e capiscono dove sono finiti, ma praticamente per caso.
Chi ha una vita di fede viva invece la direzione da dare alla sua vita la sceglie, e convoglia verso quella direzione tutti i propri sforzi. Non gli interessa un gran che dell’autogrill, e nemmeno del ristorante. Vuole proprio arrivare a Milano, e si organizza per riuscirci. In questa prospettiva pensa alle tappe, alle soste, ai rifornimenti, e tutto acquista un senso.
Ecco, mi sembra che anche se da fuori a volte possiamo sembrare come le altre macchine che procedono apparentemente allo stesso modo delle altre, la vita di fede rivesta di sé ogni cosa che facciamo. Allora la fila dalla pediatra, la torta che viene male proprio il giorno che doveva venire bene, il capo che apprezza o brontola, il marito che è di cattivo umore o torna con i fiori in mano, i bambini che sono una gioia anche quando sono una fatica, tutto si cerca di viverlo partendo dal centro di gravità ben fermo in mezzo al cuore, Dio. E tutto quindi assume un colore diverso, di fatica offerta o di gioia per cui ringraziare (lo so, lo so, bisognerebbe lodare Dio anche per la fatica, ma questo è troppo avanti per me, io ancora sto sul Raccordo, mica ho preso l’A1).
Per alimentare questo rapporto segreto e profondo con Dio serve una vita di preghiera, servono i sacramenti (se possibile messa anche feriale, e confessione frequente), serve tenersi bene aggrappati al Papa nostra roccia, serve una guida spirituale, servono buone letture e serve una compagnia di amici con cui spezzare il pane, portare i pesi gli uni degli altri, sostenersi nel cammino comune. Io non appartengo a nessuna specifica realtà ecclesiale in particolare, anche se ho molti amici in quasi tutti i movimenti. Ma sono in contatto, spesso anche solo telefonico (ho l’auricolare, lo dico sempre per l’eventuale vigile che stia leggendo) con amici, e amiche soprattutto, con cui farci compagnia. Poi la domenica, infine, andiamo alla messa sempre nella stessa chiesa, circondati da volti amici, da persone che stanno cercando con tutte se stesse di non percorrere in tondo il Raccordo Anulare, ma di andare verso la meta più spediti possibile. È importante stringersi un po’ ogni tanto, perché il nemico vuole a tutti i costi che ti fermi a bere un caffè, a fare un riposino, una bella mangiata: che ti dimentichi, insomma, dove stai andando e perché.
Fonte: BlogCostanzaMiriano