Embrioni sintetici, o anche con ‘tre genitori’, o ‘editati’: sono àmbiti della ricerca di frontiera che coinvolge variamente gli embrioni umani, con domande comuni e problemi nuovi.
Il gene editing è la manipolazione genetica che elimina ed eventualmente sostituisce parti difettose del Dna con una precisione mai vista finora: la nuova procedura è l’impronunciabile Crispr- Cas9, su cui si è espresso anche il Comitato Nazionale per la Bioetica. Consapevoli delle potenzialità enormi della tecnica, molti scienziati hanno chiesto due anni fa una moratoria che ne bloccasse eventuali sperimentazioni in vivo su embrioni umani, cioè formati in laboratorio per essere trasferiti in utero e dare avvio a gravidanze. Nel tempo, però, è scomparso dal dibattito pubblico il termine «moratoria», chiaro sinonimo di un no perentorio, sostituito da «criteri per la sperimentazione» che suggerisce la fattibilità. Eppure anche il recente, terzo articolo scientifico sugli embrioni ‘editati’ conferma i notevoli limiti della tecnica. E fa pensare il fatto che, a fronte di migliaia di pubblicazioni sul Crispr-Cas9, ce ne siano solo tre sulla sua applicazione sugli embrioni umani, solo da cinesi e neppure su riviste di punta: se ne deduce che questa specifica linea di ricerca non ha destato finora reale interesse, né mostradi essere promettente.
Ancora peggio per gli ‘embrioni con tre genitori’, cioè la tecnica di manipolazione di ovociti (o zigoti) per ottenere embrioni con il Dna di tre persone: un uomo e due donne, una delle quali fornisce i mitocondri, corpuscoli con un proprio Dna diverso da quello del nucleo con cui si trasmettono i tratti somatici. È una tecnica usata per rimpiazzare mitocondri con difetti genetici. Negli Usa è stata vietata a livello federale circa venti anni fa, quando emerse un grado elevato di malformazioni nei feti. In Gran Bretagna però l’autorità competente ha dato l’autorizzazione a procedere, e potrebbero esserci a breve le prime gravidanze. Ma non ci sono certezze per la salute dei nascituri con ‘tre genitori’: come per il gene editing, per sapere se da un embrione geneticamente modificato può nascere un bimbo sano l’unica strada è trasferire quell’embrione in utero e far nascere il bambino, seguendone poi lo sviluppo.
Una procedura inaccettabile, ma che ormai nessuno più contesta: è di pochi giorni fa un articolo – su Reproductive Biomedicine Online – che dà i dettagli della nascita di un bambino nato in questo modo in Messico, dove non c’è regolamentazione di settore. Nel testo si descrive una procedura approssimativa, sia dal punto di vista etico che scientifico: carenze pesanti nel consenso informato dei genitori; impossibilità di eliminare completamente i mitocondri difettosi della madre, rimasti nel nato insieme a quelli sani della donatrice in percentuali diverse a seconda dei tessuti analizzati (e non si sa niente di organi come cuore o cervello, che richiederebbero interventi chirurgici invasivi) con conseguenze tutte da scoprire nel futuro del piccolo; e adesso i genitori si rifiutano di sottoporre a ulteriori controlli il bambino, contrariamente a quanto pattuito in precedenza. Eppure l’autore della procedura, il dottor Zhang, ha dichiarato a Nature che proseguirà gli esperimenti, su «potenziali madri fra 42 e 47 anni», per vedere l’effetto della sostituzione con mitocondri da donatrici più giovani. Altro che ‘terapie’, l’esperimento appare nel suo reale scopo: un potenziamento umano per ‘ringiovanire’ biologicamente le donne. E nessuno si preoccupa della salute dei nati, destinati a fare da cavie.
L’ultima novità in ordine di tempo è poi quella dei cosiddetti ‘embrioni sintetici‘, espressione breve per ‘Synthetic Human Entities with Embryo-like Features’, o Sheefs. Si tratta di un organismo ‘embrioide’ sviluppato in vitro assemblando variamente cellule staminali. Di recente su Science ne è stato descritto uno molto simile a un embrione di topo, formato da due tipi di staminali supportate da una ‘impalcatura’ tridimensionale. In un report su eLifescienziati della Harvard Medical School hanno discusso sui criteri di sperimentazione di queste nuove entità che, se non possono essere considerate veri embrioni, potrebbero però in futuro assomigliargli molto, e mostrare alcune caratteristiche di esseri senzienti, per esempio provare dolore. In buona sostanza i ricercatori si chiedono se è ragionevole porre per queste nuove entità le stesse regole della ricerca per gli embrioni umani generati da fecondazione di gameti. Ma se non siamo in grado neppure di definire l’organismo nuovo che stiamo formando, perché non riusciamo neppure a individuarne la natura, sarà impossibile regolare alcunché.
In definitiva, su fronti diversi dell’embriologia umana si propongono sperimentazioni con un tratto comune: la sempre minore consapevolezza di quel che si sta facendo, da parte degli scienziati ma anche dell’opinione pubblica, cui si parla nell’ottica dell’inevitabile ‘progresso scientifico’. E una domanda ulteriore emerge con urgenza: chi deve monitorare, guidare, giudicare, in poche parole, governare tutto questo?
Fonte: Assuntina Morresi – Avvenire.it