Alcuni miliardari, tra i quali il fondatore di Microsoft Bill Gates, l’uomo più ricco del mondo, annunciano che ai propri figli lasceranno nulla o quasi in eredità. Per noi italiani, affezionati alla tradizione di passare i nostri beni ai figli, sembra la scelta di nababbi spocchiosi. Ma un briciolo di buon senso ce l’ha, forse più di un briciolo. Il parere dello psicoterapeuta Alberto Pellai.
Sembra essere la moda del momento: i più ricchi del mondo annunciano che ai propri figli non lasceranno nulla o quasi in eredità. Lo hanno dichiarato, con modalità più o meno simili, personaggi che hanno raggiunto un successo planetario in ambiti professionali molto diversi: dal musicista Sting a Bill Gates, fino alle recenti dichiarazioni del cuoco Gordon Ramsay. Quest’ultimo ha dichiarato in un’intervista al Telegraph, ripresa da tutti i media internazionali, che da lui i suoi figli riceveranno soltanto biglietti aerei per viaggiare in classe economica, una paghetta di 50 sterline a settimana, e una casa dove vivere quando saranno grandi. Non avranno mai, invece, nemmeno un centesimo dei risparmi guadagnati nella sua vita che fin dall’adolescenza è stata dedicata al lavoro, per sfuggire al disagio educativo derivato dalla convivenza con un padre alcolizzato.
Una cosa è certa: queste dichiarazioni stravolgono uno dei principi su cui da sempre gli uomini hanno costruito il significato della propria esistenza e tramandato il valore del proprio lavoro alle generazioni successive. Quanti padri hanno dedicato la vita al lavoro con l’obiettivo di garantire un futuro e una sicurezza economica ai propri figli? E se ora la tendenza messa in atto dai ricchissimi papà di fama mondiale cercasse di invertire la rotta? Credo che questi uomini che hanno accumulato patrimoni enormi si stanno chiedendo (e provocatoriamente obbligano anche tutti noi a farci la medesima domanda) se il senso e la funzione paterna sia consegnare “chiavi in mano” una vita dove tutto è garantito e già conquistato dal patrimonio della generazione precedente.
Fa bene questo ad un figlio? Si può davvero diventare grandi potendo contare su un enorme patrimonio ricevuto in dono dal proprio padre, che permetterebbe a più generazioni successive di vivere senza alcuno sforzo, godendo dell’enorme ricchezza conquistata dalle generazioni passate? Forse il messaggio implicito in questo “diseredare” i figli, da parte di genitori molto ricchi che si sono sudati la propria fortuna, è un insegnamento morale che è più profondo di ciò che appare in superficie.
Io ci vedo per esempio il messaggio presente nella parabola dei talenti: “Ti ho messo al mondo, ti ho dato l’opportunità di diventare ciò che volevi essere, ti ho chiesto di far fruttare il tuo valore e di non adagiarti su qualcosa che trovi già pronto e conquistato da un altro”. Queste dichiarazioni dei ricchissimi, così sicuri del fatto che i loro figli dovranno sudarsi la propria fortuna e rinunciare ai molti privilegi che il loro status di appartenenza potrebbe fargli trovare come sicuri e garantiti, potrebbe rappresentare un invito “forte e potente” a far sì che i loro figli si sforzino di diventare artefici della propria sorte e della propria fortuna, sentendo che ciascuno di noi ha il dovere morale di rendere la propria esistenza un percorso di crescita e di costruzione di significato.
Forse questi grandi ricchi davvero credono che il valore grande che un padre deve testimoniare ad un figlio non sta nelle cifre presenti sull’assegno che viene lasciato in eredità, ma nell’esempio che deriva dall’impegno profuso nella propria vita, dalla dedizione e passione con cui si è svolto il proprio lavoro. Quella dedizione e passione che diventano poi pre-requisito per l’affermazione personale, il raggiungimento del successo e quindi anche della ricchezza.
Per noi Italiani un messaggio come quello di Sting e Ramsey suona come una provocazione, una sorta di snobismo un po’ spocchioso che solo i plurimiliardari si possono permettere. Però dovremmo riflettere a lungo su quanto le eredità ricevute in dono a volte non abbiano fatto la fortuna degli eredi, bensì siano state la causa della loro rovina. Dovremmo pensare a quante generazioni di figli hanno dilapidato le fortune ricevute in dono dalle generazioni che le hanno precedute, sprecando capitali che erano derivati da un progetto di vita basato sul lavoro e sul sacrificio.
Dovremmo anche riflettere su come il cognome e il buon nome di papà abbiano rappresentato spesso corsie preferenziali per avere diritti e garanzie in modo immeritato. L’eredità ricevuta da un padre per alcuni figli a volte consiste non solo nel capitale dichiarato nel testamento, ma anche in una strada spianata dove raccomandazioni, posti di lavoro, favoritismi e garanzie sono ottenuti come diritti acquisiti senza alcuna fatica o merito che li giustifichi. E’ in questa accezione che vi invito a riflettere sul messaggio presente nelle dichiarazioni di questi ricchissimi americani. Che forse esagerano. Che forse a noi “Italiani” sembrano un po’ spiazzanti. Ma che forse, però, un briciolo di buon senso lo contengono. Probabilmente non solo un briciolo.
Fonte: Famiglia Cristiana.it