La nave della Chiesa secondo Caravaggio
— 27 Aprile 2017
— pubblicato da Redazione. —
Non possiamo provare che dolore per le delibere ultime del Parlamento circa la legge (terrificante) sul fine vita. Ora toccherà al Senato dire la sua, ma quali saranno le ragioni che sosterranno in nostri politici nella valutazione di questa “legge”? Sarebbe meglio chiederci, ancora più in profondità: quale idea di uomo soggiace alla cultura della maggior parte degli italiani? Chi ha gridato contro Hitler e contro le sue aberranti idee sull’eugenetica e la soppressione delle persone “indegne” della razza pura, ora cammina spavaldo a braccetto con le medesime idee, ammantandole di dignità umana e progresso!
Come cittadina (e non come religiosa) mi sento veramente sgomenta. Ripenso agli anni della scuola in cui ci insegnavano a valutare l’evoluzione di una cultura a partire dalla consapevolezza dell’aldilà. Non è forse vero che designiamo quale Homo sapiens, non solo l’uomo che ha fabbricato utensili, ma anche colui che ha cominciato a corredare le tombe di oggetti, presentendo una vita oltre la vita? Eppure oggi le teorie di alcuni pensatori moderni, sembrano accordarsi meglio con l’Australopithecus prometeus e la sua assoluta incuranza di un Oltre che lo attende.
Pensavo a tutto questo mentre preparavo un incontro sulla Deposizione di Caravaggio, un’opera possente che descrive la Chiesa nascente come un vascello che solca il mare mortifero della storia. Quanto mi appare attuale quest’opera! La prua della nave è lo spigolo della pietra sepolcrale, l’albero maestro sono le lacrime dolenti di Maria di Magdala, lo scafo le braccia tese della Vergine Maria, la vela le braccia innalzate di una delle Marie.
La radiografia ha rilevato che, alle spalle del gruppo dei discepoli intento alla sepoltura del Cristo, c’è l’ingresso del sepolcro, mentre l’oscurità di una buca minacciosa si trova sotto la pietra sepolcrale. Una buca pronta ad inghiottire il corpo del Salvatore.
Insomma, il dipinto offre lo spaccato di una Chiesa immersa in una cultura di morte che vive della luce di un Corpo morto, eppure vivo. Da quando Giuseppe d’Arimatea chiese a Pilato il corpo di Gesù, quel Corpo continua a originare la nostra fede e la nostra certezza sulla dignità ultima e definitiva dell’uomo: non morire. Nicodemo, nell’opera di Caravaggio ci guarda. È il ritratto del grande Buonarroti che Caravaggio venerava come un Maestro. Il suo scatto ci induce a guardare Giovanni, il cui volto resta fisso su Gesù, vera luce del quadro. Il fascio di luce, in effetti, illumina il lenzuolo del Cristo.
Quel telo sindonico sconcerta perché è l’unico testimone della risurrezione e cade nella medesima direzione del braccio di Cristo (altra citazione Michelangiolesca). Vediamo così che la mano del Salvatore indica il numero 3: è il numero dei giorni di attesa prima della risurrezione, è il numero delle persone divine. Nel comporre il numero 3 le dita indicano anche la pianta di Tarassaco, potente rimando alla vita oltre la vita.
A noi che siamo dentro l’abbraccio della Vergine, che piangiamo per le sofferenze dell’uomo ferito nella sua carne come la Maddalena, a noi l’augurio che si possa restare tutti su questa nave, l’unica capace di dare speranza all’umanità presa da angoscia mortale. Mi commuovono le braccia levate dell’altra Maria. Anche noi gridiamo per lo scandalo della sofferenza, ma gridiamo nella speranza e nell’abbraccio pacificato di un Corpo che ora abita nella Trinità e ci assicura la certezza della vita oltre la vita.
Fonte: Gloria Riva | Avvenire.it
- Condividi questo articolo::