La vita è così: un alternarsi di gioie e dolori; è inevitabile, e sta ad ognuno di noi saper reagire a ciò che ci accade. Reagire, sempre, sia che si tratti di un qualcosa di positivo sia che si presenti un fatto negativo sconvolgente, che di primo impatto sembra averci rovinato per sempre l’esistenza. Il mondo è sicuramente ricolmo di persone che affrontano ogni difficoltà che gli si paventa davanti con un’integrità e una determinazione ammirevoli, ma, purtroppo, anche a partire dall’esperienza della mia seppur breve vita, posso affermare che sono altrettante le persone che alla prima difficoltà, alla prima deviazione dal percorso che si erano prefissati, al primo ostacolo che inevitabilmente prima o poi giunge, entrano in crisi e appaiono incapaci di agire; il “vittimismo” diventa l’elemento dominante della loro vita, che inesorabilmente trascorre e viene sprecata tra una lamentela e l’altra. Lamentarsi è la cosa più facile del mondo. Niente è più semplice che dare la colpa a qualcosa o qualcuno e non assumersi le proprie responsabilità, ma questo comportamento non porta a nulla. Ciò che è agevole ci attrae, ma quello del lagnarsi e brontolare continuamente non è altro che un modo per buttare via il proprio tempo che, anche se spesso ce ne dimentichiamo, presto o tardi finirà.
Fortunatamente, le persone che godono di una certa popolarità nel mondo non sono solo quelle con una vita “perfetta”, ma anche personaggi che hanno dovuto affrontare sfide ben più grandi e dolorose di quelle con cui normalmente può capitare di dover combattere; queste celebrità sono un esempio prezioso per tutti, e in particolare per coloro che si lamentano di aver rotto un’unghia o si lagnano di non avere “mai una gioia”, per usare un termine molto in voga in questo periodo; queste celebrità sono fondamentali perché sono dimostrazione di come un uomo, dotato di determinazione e spirito di sacrificio, sia in grado di trasformare una vita apparentemente distrutta in un’avventura forse ancora più bella di quanto non lo fosse prima.
Una di queste celebrità, o forse sarebbe meglio dire uno di questi uomini, visto che alla fine non è un supereroe, ma una persona in carne ed ossa come usa definirsi lui, è sicuramente Alex Zanardi. Zanardi è un uomo che ha saputo affrontare “col sorriso” la perdita degli arti inferiori che erano ciò che gli permetteva di fare il suo lavoro, che altro non era che sfrecciare a 300 km/h sui circuiti di tutto il mondo a bordo di una macchina; “ma va è infattibile”, “come avrà fatto?”, “impossibile, non è umano!” … E invece no, è solo un uomo. Alex è il primo a dirlo, lui è solo una persona che ha molta visibilità, ma ce ne sono infinite molto più meritevoli di ammirazione rispetto a lui; parole di un essere umano umile e semplice, che, stando a quanto scrive nelle sue autobiografie, ha abbracciato la vita nella sua totalità, con gioie e dolori, decidendo, sempre stando a quanto scrive nei suoi libri, di imboccare la strada più complicata: quella del duro lavoro e non quella delle lamentele. Zanardi ha dedicato la sua vita alla velocità: è partito dai go-kart per arrivare alla Formula 1, fino a raggiungere la definitiva consacrazione sportiva negli Stati Uniti, nel mondiale dell’allora denominata categoria CART; dopo anni di sfide affrontate al volante ha dovuto confrontarsi con quella ancora più dura di ritrovarsi su un letto d’ospedale senza le proprie gambe in seguito ad uno spaventoso incidente. Molti potrebbero pensare che se si vive una tale esperienza bisogna ritenersi fortunati ad essere ancora su questa terra e accontentarsi di ciò che si ha ancora, e un tale ragionamento non può essere certo biasimato visto che avere avuto un incidente come quello del pilota italiano significa essere stati letteralmente a un passo dalla morte; fortunatamente, però, Zanardi non è mai stato un tipo che si accontenta, e quindi non ha mai ragionato in questo modo: il suo primo pensiero dopo aver ringraziato Dio per essere ancora vivo, come viene esplicitamente scritto nella sua prima autobiografia, è stato quindi come riuscire a tornare ad avere una vita da amare, una vita per cui valesse la pena spendere energie, e ha deciso di non starsene con le mani in mano ad osservare la propria esistenza scivolare via priva di nuovi stimoli.
Lottare per tornare a fare ciò che amava o vivere il resto della propria vita con nostalgia dei bei tempi andati: era questa in fin dei conti la scelta che si poneva di fronte a Alex Zanardi; nessuno gli avrebbe potuto dire niente se avesse scelto di usare una carrozzina e vivere il resto dei suoi giorni in pace, isolato da tutti e col rimpianto che senza quell’incidente avrebbe potuto vincere ancora molto; però, a Zanardi non interessava una vita trascorsa da vittima, bensì una vita di cui lui poteva essere l’artefice pur avendo perso metà del suo corpo. La sua prima biografia (Però, Zanardi da Castel Maggiore) termina col racconto del suo incidente e della sua riabilitazione, e le ultime parole scelte dall’atleta e dal giornalista che con lui ha scritto il libro, Gianluca Gasparini, per concludere il racconto sono state: “E adesso, sotto con il resto”; come confessato da Gasparini, grande amico di Zanardi, per lui quelle parole erano solo un modo per concludere in maniera degna il libro, e non avrebbe certo immaginato che Alex le avrebbe prese alla lettera; perché in fondo è questo che ha fatto: ha visto chiudersi un capitolo della sua vita e si è rimboccato le maniche per scriverne un altro, nel quale, pur non sapendolo ancora quando ha deciso di iniziare a scrivere la seconda parte della sua vita, avrebbe fatto la storia dello sport paraolimpico italiano arrivando ad essere vincente sia alle Paraolimpiadi di Londra che a quelle di Rio, e paventando la possibilità di poter gareggiare anche a Tokyo 2020.
Questo mio pensiero non vuole scadere nell’idolatria di uno sportivo, bensì vuole esprimere una profonda ammirazione per una persona che dopo quanto vissuto ha scelto di non commiserarsi, ha scelto di sudare, ha scelto di affrontare nuove sfide che lo hanno reso artefice della propria vita, e non vittima. Persone come Zanardi sono un patrimonio dell’umanità, in quanto testimoni di cosa è capace un uomo; la sua importanza per chi decide di lasciarsi ispirare da ciò che lui ha fatto è inestimabile, perché come scrive nella sua autobiografia lui ha tratto forza da un suo collega motociclista rimasto paraplegico, e la sua più grande speranza è che la sua storia possa essere di aiuto per qualcuno che vive un avvenimento simile a quello che è capitato a lui. Il più grande insegnamento che ci lascia una persona come Alex Zanardi è che è vero che la vita può mettere a dura prova il nostro temperamento e a volte addirittura anche la nostra voglia di vivere, ma è anche vero che un uomo, se accetta sacrifici e fatiche, è in grado di far fronte ad ogni situazione con le proprie forze e il sostegno di chi gli sta accanto; la vita è breve, e per questo non c’è tempo per viverla lamentandosi di quello che non si ha, bensì bisogna essere grati di ciò che si possiede e fare in modo che questo porti frutto per noi e per chi ci sta intorno. Darsi da fare. Lavorare duramente. Faticare. Sono tutte espressioni che possono spaventare, ma sono anche termini che hanno il potere di donarci soddisfazioni inimmaginabili quando col sudore della propria fronte si raggiungono gli obiettivi prefissati. Se si affronta la vita senza timore di mettersi in gioco, allora questa saprà darci soddisfazioni immense pur attraverso fatiche altrettanto importanti, ma se invece si inizia a cercare delle scuse per le proprie difficoltà, ci si auto commisera e ci si convince di essere vittime nell’avventura che si sta vivendo, allora non si farà altro che peggiorare la propria situazione; e in questo modo, dopo un evento che ha segnato in maniera negativa la nostra vita non i si saprà più riprendere, sprecando in questo modo tutti gli anni che rimangono da vivere … e al mondo, non esiste male più grande che sprecare il tempo che ci è stato regalato per stare su questa terra.
Fonte: Riccardo Brasca | SullaStradaDi Emmaus.it