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Frontiere di sabbia e vittime collaterali del sistema

Nato di giovedì, arriva il venerdì e parte domattina, di sabato. Si chiama Yao e torna nel suo nativo Togo, nell’Africa Occidentale che sforna bambini e migranti che poi riveste di sabbia per confonderli meglio col paesaggio del Sahel. Elettricista e tecnico riparatore di radio e televisioni
Yao ha collezionato frontiere di sabbia e solo questa gli è rimasta in mano prima di partire.
È stato in Ghana, Mauritania, Senegal, Mali e due volte in Algeria, da dove è arrivato ieri. Ad alcune ore di distanza da Arlit, città-confine con l’uranio e l’Algeria, ha visto decine di corpi rinsecchiti dal sole. Migranti solo in parte sepolti di sabbia e di vento. Aveva terminato i soldi del viaggio e per questo è arrivato dopo un mese.
Il giro del mondo in 80 giorni era quello di Giulio Verne solo che si è sbagliato di secolo. Da un certo tempo i viaggi dal Nord sono a senso unico. Quelli del Sud devono raccontare prima le frontiere di sabbia e di filo spinato. Yao zoppica da un piede ed è riparatore di radio. Dice che ha avuto paura di contare i morti.
Sono stati ritrovati nella sabbia nel deserto di Agadez in Niger. Erano 44 e tra loro anche alcuni bambini. L’avaria del camioncino che li trasportava è stata fatale. Basta poco perché la sete e il sole facciano il lavoro che il contratto col deserto implica. Donne, bambini e giovani senza età. Come Prince, giunto da poco, il quale dice che pure lui ha visto altri corpi nel deserto. Nella carta consolare che presenta si precisa che di mestiere è cantante.
Ha provato un concerto in Libia finché si è reso conto che le frontiere si spostavano mano a mano che lui avanzava. Stanco di rincorrerle ha scelto di cambiare rotta e di tornare verso l’altro mare, l’oceano Atlantico che aveva salutato due anni prima. La produzione delle frontiere ha coinvolto anche Constant. Una volta ad Agadez, cittadella ora fortificata dalle Ong umanitarie, gli hanno chiesto 800 dollari per il transito il Libia. Un gruppo di banditi col volto coperto li ha arrestati, rapinati e obbligati a tornare là dove erano partiti due giorni prima. Una frontiera armata e ladra.
Yao zoppica per una malformazione congenita al piede. La sua signora lo ha lasciato da oltre dieci anni e ora si trova nel Gabon con qualcun altro. Ha due figlie di cui si occupa sua madre. La maggiore è già sposata e lui
spera che l’altra possa terminare l’apprendistato come sarta. Lo hanno illuso i documenti e per colpa loro è stato ospite di tre prigioni diverse in Algeria.
Nell’ultima mangiava meglio che fuori ed è stato tentato di rimanervi più tempo. Ha superato la tentazione e, stanco di nascondersi, ha chiesto un aiuto per tornare a Lomé, la capitale del Togo. Prince cantava quando si trovava nel campo profughi per i liberiani nei dintorni di Accra, nel Ghana.
Ora che forse il pallone d’oro George Weah sarà eletto presidente della Liberia potrà cantare un’altra canzone. Quanto a Constant, anch’egli con due figli, lo accompagna il mestiere di vivere da cui non si separa da quasi cinquant’anni. Ha forti dolori allo stomaco che, sostiene con calma, diminuiscono quando può mangiare almeno una volta al giorno.
Le frontiere di sabbia dell’Europa sono buffe. Si muovono, si trasformano, si armano e si negoziano. Chiederlo a Yao, Prince e Constant che da loro sono stati pedinati. Il primo zoppica, Prince canta di nascosto e Constant spera di mangiare stasera. Sono frontiere migranti che hanno imparato col tempo come essere docili alle aspirazioni dei padroni. Cambiano con le geografie politiche e sono obbedienti
alle scelte di coloro che le finanziano. Fanno la storia per procura e imparano un sacco di nomi a memoria che poi la sabbia, non sempre, riesce a cancellare.

Fonte: Mauro Armanino Avvenire.it

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