Qualche giorno fa, dopo aver letto un articolo che avrei catalogato nel settore “parole in libertà”, ho scritto, senza curarne più di tanto la forma, uno status di facebook che pensavo sarebbe caduto nell’indifferenza generale. L’ho buttato giù di getto, senza pensarci troppo, non perché non ne fossi convinta ma al contrario perché ne sono talmente convinta che mi sembrava abbastanza banale. Diceva: “Propongo di mettere una tassa sulla parola accoglienza”. Apriti cielo. Si è scatenata una polemica che non finiva più.
Vorrei provare a capire quali corde avrei inavvertitamente toccato. Ho scritto che propongo una tassa perché la parola accoglienza mi sembra oggi una delle meno comprese e di quelle usate nel modo peggiore. A volte con leggerezza, altre volte con disonestà intellettuale. Propongo una tassa perché se uno dovesse pagare per usarla forse lo farebbe con più attenzione. O meglio, propongo una tassa perché l’accoglienza ti deve costare qualcosa, sennò dirla non vale niente. L’elemosiniere del Papa può parlare di accogliere i rifugiati perché ha ceduto la sua casa a una famiglia siriana. E comunque mi risulta che parli poco (ho cercato più volte di intervistarlo, invano). L’accoglienza è una cosa che si fa ma non si dice, a parte chi è preposto a parlare per il suo ministero.
Vorrei provare invece a capire che vuol dire veramente accogliere. Davvero, me lo chiedo. Va bene, un rifugiato che scappa dalla guerra cerca casa e cibo. È chiaro. Mi sembra che nessun cristiano possa avere difficoltà a capirlo (quanto a farlo, poi, è un altro conto). Ma in altri casi, siamo sicuri che così tanta gente vuole essere “accolta” da noi? Siamo davvero così attraenti? È davvero così ambita la nostra “approvazione”? I siriani volevano essere approvati dall’elemosiniere del Papa, o piuttosto volevano che qualcuno risolvesse i loro problemi? Non è questa la vera accoglienza? Se non risolviamo i problemi degli altri, o almeno non ci disponiamo ad ascoltarli per vedere se possiamo dare una mano, allora non è accoglienza. È dire “fai come ti pare che a me non dai fastidio”. Ma chi siamo noi per dire “fai come ti pare”? Chi se ne frega della nostra approvazione?
Io preferisco parlare di amicizia, che è una cosa da persona a persona, non verso una categoria. L’amicizia purtroppo nella nostra vita è contingentata, non possiamo essere amici di migliaia di persone (e lo dico con dolore vero, perché continuo a incontrare persone che vorrei frequentare e non solo sfiorare, ma non si può, bisogna mettere delle priorità anche nelle relazioni, è un’illusione quella di custodire e amare tutti, si finisce per non amare più nessuno, prima di tutto i vicini, quelli che ci sono dati, il marito e i figli nel mio caso). Ma soprattutto non possiamo essere amici di una categoria: ci sono donne antipatiche e donne simpatiche, neri intelligenti e neri stupidi, persone con attrazione verso lo stesso sesso intelligenti e altre stupide. Quindi, cosa vuol dire accogliere una categoria? Vuol dire che tutte le persone che hanno alcune caratteristiche e appartengono a una certa categoria sono da amare? Certo, questo vale per tutti. Non si amano le categorie, si amano le persone, e beato chi ci riesce: è così difficile amare davvero qualcuno, amare la sua libertà, il suo destino.
Ma veniamo allora nello specifico. L’articolo che mi aveva fatto scrivere quel post che mi sembrava da nulla era quello di Paolo Rodari, sul libro di James Martin, Costruire un ponte verso la comunità lgbt.
Cominciamo dal titolo dell’articolo: Padre Martin sfida i conservatori della Chiesa, “l’omofobia è un peccato”. Io questi omofobi nella Chiesa li vorrei proprio incontrare. Se esistono devono vivere malissimo, perché al contrario, come ha detto il Papa, c’è una fortissima e potentissima lobby omosessuale in Vaticano, e delle volte coloro che vi appartengono non fanno molto per dissimulare. Ci sono in ruoli anche significativi dei personaggi che già dall’aspetto e dai modi rivelano le loro inclinazioni sessuali, che non fanno nulla per nascondere. Non c’è nulla di male, purché le inclinazioni non siano assecondate – la castità è chiesta a tutti i cristiani, compresi gli sposati, il cui amore deve essere casto e fecondo – ma non parliamo di discriminazione, almeno non nelle gerarchie ecclesiastiche. Seconda cosa, omofobia cosa vuol dire? La Chiesa annuncia che avere rapporti omosessuali è un peccato, come molte altre cose: l’adulterio, l’accumulare disonestamente ricchezze, l’omicidio, la maldicenza, la calunnia, l’aborto (ovviamente con diverse gradazioni di gravità). Chi lo dice non è adulterofobo (o sessuofobo), assassinofobo, ricchezzofobo. Chi commette queste azioni sa che sta sbagliando ma come persona sarà sempre ascoltato, amato (ci si prova, è difficile amare anche i nostri cari…), ma sa anche che le sue azioni sono sbagliate. Infine perché un sacerdote dovrebbe accettare una parola imposta dai movimenti omosessualisti? Cosa sarebbe l’omofobia? Una paura? Chi ha paura delle persone che provano attrazione per lo stesso sesso? Esiste davvero qualcuno che nel 2017 ha questa paura?
Ma soprattutto, esiste davvero nella Chiesa una persona che prova attrazione per lo stesso sesso, a cui sia stato detto “non puoi venire a messa, o non puoi fare la comunione neppure se vivi castamente”? Esiste uno solo che sia stato cacciato da un confessionale? Certo, se si milita attivamente per promuovere l’aborto, la ricchezza disonesta, le relazioni fuori dal matrimonio o quelle omosessuali non si potrà pretendere di insegnare a nome della Chiesa, ma si tratta banalmente di logica: se insegni cose diverse dal magistero della Chiesa insegnale pure, ma a nome tuo, non a nome della Chiesa. Lo stesso se vivi una condizione esistenziale apertamente in contrasto con la Chiesa e non hai la pur minima intenzione di emendarti.
Ma veniamo al cuore. L’articolo parla di accoglienza verso le persone, e su questo dobbiamo migliorare tutti (sui social arrivano certe legnate in nome della misericordia, per dire). Ma non è quello che dice il titolo del libro di padre Martin (il libro non è ancora uscito in italiano), che parla invece di comunità lgbt. Cioè di militanti. Usa anche la parola gay, che la Chiesa non può accettare, perché connotata ideologicamente. Gay vuol dire allegro, brillante, ed è una parola che implica un preciso atteggiamento esistenziale. Non indica chi prova attrazione verso lo stesso sesso, ma chi questa attrazione decide di praticarla, e per questo è “contento”. La Chiesa non può smettere di annunciare che questo, semplicemente, non è vero, e credo che neppure padre Martin lo sostenga, visto che dice “E sicuramente ci sono dei santi canonizzati dalla Chiesa che avevano un orientamento omosessuale. Questo non significa che fossero sessualmente attivi, ma solo che alcuni di loro avevano un orientamento omosessuale.” Anche io, per dire, credo di conoscere un santo che prova attrazione verso il suo sesso, ma non la pratica. Sono certa che mi precederà nel regno dei cieli. Infatti lui si incavola come una biscia se sente parlare di comunità lgbt. Non vuole essere considerato una categoria, non vuole militare per affermare il suo diritto a peccare, e quindi a stare male (perché il peccato non offende Dio nel senso che intendiamo noi, gli dispiace perché fa male a noi, e lui ci ama). Il mio amico santo milita, piuttosto, per aiutare le altre persone a vivere la fede cattolica, cioè una relazione personale sempre più stretta con Gesù Cristo, indipendentemente dal suo orientamento sessuale. E il peccato è quello che ci allontana da questa relazione, che è l’unica che può rispondere a tutti i desideri del nostro cuore. La Chiesa è chiarissima nel suo Magistero, distinguendo l’inclinazione dagli atti.
Ovviamente questo discorso deve interessare solo a chi crede che la relazione con Gesù Cristo (che è vivo oggi, non “se fosse vivo oggi” come dice Rodari), sia la cosa più decisiva della tua vita. Chi non se ne interessa come la stragrande maggioranza della gente che sta al mondo, compresa quella che si dice formalmente cattolica, perché si preoccupa di quello che dice il catechismo? Io se un buddista dice che con la mia vita non sarò felice non me ne curo. Al massimo lo ringrazio dell’interessamento. Ovviamente la Chiesa non impone il suo punto di vista, come non dovrebbe imporlo il governo (al contrario introdurre il reato di omofobia, cioè mandare in carcere chi la pensa come il Catechismo, questa sì che è violenza, dittatura da far impallidire le fantasie di Orwell).
Trovo scorretto e intellettualmente molto disonesto dire che si è deciso di scrivere un simile libro – che, ripeto, non è ancora uscito e che sto giudicando da un’intervista – dopo la strage di Orlando nel locale frequentato da persone omosessuali. Trovo scorretto usare quell’episodio di cronaca per dire che la Chiesa deve essere più compassionevole. L’assassino non era cattolico, si è detto anche che fosse lui stesso un frequentatore del locale. La Chiesa non c’entra niente, anzi i miei amici con attrazione verso lo stesso sesso hanno trovato proprio dentro la Chiesa il bandolo per sbrogliare i nodi interiori e trovare la pace (per esempio attraverso Courage). Questa è la vera accoglienza. Noi crediamo che la via che ci indica la Chiesa sia l’unica per la felicità, e che i comandamenti non siano un obbligo ma un regalo. Che diritto ha un uomo di togliere a un altro il regalo di Dio?
Come al solito la Chiesa arriva a saldi finiti. Padre Martin parla di emarginazione, di ultimi, per le persone con attrazione verso lo stesso sesso? Ma dove li vede? Non so dove abbia vissuto, ma qui in occidente quelle persone hanno spesso posti di potere, popolano i piani alti della comunicazione, salgono e trionfano sui palchi degli spettacoli più importanti, organizzano cortei del loro orgoglio che non sono affatto boicottati, anzi, tutto il mondo dell’informazione dà una visibilità del tutto sproporzionata rispetto alle dimensioni dell’evento. Entrano nelle scuole, nei posti di governo, il trionfatore delle elezioni francesi va nelle scuole a dire che si possono avere due padri o due madri (bugia: un bambino nasce da un maschio e da una femmina). Sono così ricchi da potersi permettere di comprare ovuli e affittare uteri (e se Gesù tornasse oggi sulla terra col suo corpo umano forse andrebbe a cena con i bambini privati della mamma dagli affittuari di uteri, chissà). Sono, cito Papa Francesco, una lobby potentissima in Vaticano. I social li corteggiano li coccolano li vezzeggiano. I motori di ricerca dedicano loro arcobaleni e lustrini. Sono il nuovo conformismo di massa.
Ma veniamo al cuore della questione, il vero nodo centrale. Padre Martin dice a Repubblica che il suo libro è molto moderato e non sfida alcun insegnamento della Chiesa. Ma poi dice “Se una certa percentuale di umanità nasce gay”… E certo, da lì discende tutto il resto. Se una persona nasce con attrazione sessuale stabile e prevalente verso lo stesso sesso, come può la Chiesa continuare a dire che praticare questa attrazione è peccato? Che Dio sadico è, uno che mette nel cuore un affetto e impedisce di viverlo? Mi riecheggiano esattamente le parole della lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali scritta dalla Congregazione per la dottrina della fede: “essere particolarmente vigilanti nei confronti di quei programmi che di fatto tentano di esercitare una pressione sulla Chiesa perché essa cambi la sua dottrina, anche se a parole talvolta si nega che sia così”. Ecco, questo è uno di quei casi. Si dice che si vuole tendere un ponte verso la comunità lgbt ma si sta sovvertendo in modo non dichiarato il Magistero della Chiesa, e va bene che padre Martin è un sacerdote, ma deve obbedire anche lui alla Congregazione per la dottrina della fede. La Chiesa afferma che non esiste alcuna base scientifica per affermare che esista una base genetica per l’attrazione omosessuale. Lo afferma chiarissimamente.
Trovo profondamente scorretto dire di voler semplicemente accogliere le persone, mentre si cerca di alterare la verità (a meno che a quella verità non si creda fino in fondo). Il Comitato su matrimonio e famiglia della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti scrisse nel 1997 il documento Always our children che tentava di fare un’operazione simile a quella di padre Martin, dando per scontato che l’omosessualità “viene vissuta come qualcosa di dato, non di scelto liberamente”. La Congregazione per la Dottrina della fede sottolineò con fermezza massima gli errori del documento: “dovrebbe essere ritirato e pubblicamente ripudiato dai vescovi”. James Martin ha affermato una sua opinione senza fondamento scientifico e non sostenuta dalla massima autorità della Chiesa in merito, anzi severamente condannata (di Always ou children la Congreazione per la Dottrina della Fede scrive: “il documento è così profondamente viziato da quasi ogni punto di vista – teologico, antropologico, dottrinale, psicologico, fisiologico, catechetico, metodologico e persino stilistico – da non essere emendabile”. Una bocciatura senza appello, totale). Spacciarla per desiderio di accogliere è sleale. Accogliere vuol dire fare un corpo a corpo contro il dolore dell’altro, vuol dire non arrendersi al fatto che si condanni a rapporti non liberanti e non di vero dono, ma di autocompiacimento (sempre parole di Ratzinger). Anche noi siamo con Francesco quando dice che non possiamo giudicare un omosessuale che cerca Dio, cioè ha detto gay, ma l’italiano e l’inglese non sono lingue sue, comunque è evidente che la parte più importante della frase sia “che cerca Dio”. Ci sembra che i soli a combattere a fianco delle persone che provano attrazione per lo stesso sesso siano quelli che li sanno guardare come persone, che non si rendono complici di alto tradimento nei confronti della loro persona, una persona che è molto più grande e più preziosa della loro attrazione sessuale.
p.s. Consigliatissima la lettura del memorabile articolo di don Dariusz Oko, Con il Papa contro la omoeresia, letto grazie a Roberto Marchesini e al suo indispensabile, documentatissimo, inattaccabile, accoglientissimo, delicatissimo Omosessualità e Magistero della Chiesa, Comprensione e speranza, Sugarco.
Fonte: CostanzaMiriano.com